“Il dolore esige di essere sentito”
Hazel Grace ha diciassette anni e un cancro ai polmoni, Augustus Waters ne ha diciotto e un osteosarcoma che gli ha portato via una gamba. Date le premesse, il film di Josh Boone, all’attivo solo la com-rom Stuck in Love, poteva diventare l’ennesimo cancer movie strappa consensi e lacrime, invece è un raffinato inno alla vita che mescola con equilibrio il pathos del melodramma e la levitas della commedia young adult, schivando ogni incoraggiante patetismo.
“Possiamo sempre scegliere come raccontare una storia triste”. Lo dice la voce off della protagonista, la “divergente” Shailene Woodley nella distopia di Neil Burger, che nel film di Boone è malata (non ancora) terminale di cancro e d’amore. L’incontro/scontro con il fascinoso Augustus “Gus” Waters (Ansel Elgort) non le lascia scampo, obbligandola a dismettere i panni della filosofa nichilista – “credo solo nell’oblio”, sostiene durante le sedute col gruppo di sostegno a cui partecipa anche l’ex sportivo Gus – catapultandola verso Amsterdam, alla ricerca dello scrittore di cui è fan dopo aver letto “Un’imperiale afflizione”, romanzo verità che sembra narrare il suo personale calvario. Storia d’amore giovanile e morte precoce, ma soprattutto metafora del potere incantatorio della parola salvifica, l’idillio della coppia, sospeso tra brillanti motteggi, sciagure, levità e fine humour, ci fa dimenticare le metastasi dei corpi, rimaste in superficie, ed esalta un simbiotico intreccio di anime lasciando in bocca un retrogusto dolceamaro. L’importante, in fin dei conti, è saper essere cantastorie di tristezze assortite senza che la malattia diventi pretesto per facilonerie lucrative. Certo, il disagio giovanile, specie se portato da un tumore irreversibile ha sempre riempito le sale e stomacato i critici, ma in questo caso accontenta tutti i palati, pur senza fare scintille e mantenendo la giusta distanza da film stucchevoli come Autumn in New York o A Time for Dancing. Non era facile per niente. Il segreto? Scegliere un autore letterario già cinematico e suggestivo come John Green e due protagonisti, già fraterna coppia in Divergent, che conoscono il limite sottile che separa il coté melò dall’eccesso drammaturgico a prova di kleenex. Operazione riuscita dunque, e pretese ricattatorie o intenti manipolatori completamente assenti, visto che per le quasi due ore di film, si mettono in scena divertenti e toccanti tableaux vivants che si lasciano osservare in trasparenza estromettendo il nostro diritto ad essere giudici di una condizione fisica e sociale, la malattia, guardata attraverso il filtro romanzesco della letteratura per immagini. Affabulatorio.
Colpa delle stelle [The Fault in Our Stars, USA 2014] REGIA Josh Boone.
CAST Shailene Woodley, Ansel Elgort, Laura Dern, Sam Trammell, Nat Wolff.
SCENEGGIATURA Scott Neustadter, Michael H. Weber (tratta dall’omonimo romanzo di John Green). FOTOGRAFIA Ben Richardson. MUSICHE Mike Mogis, Nate Walcott.
Drammatico, durata 125 minuti.