Siamo tutti in pericolo
Pasolini è una vittima di quell’esaltazione “post mortem” il più delle volte strumentale, che ha l’obiettivo di addomesticare la grandezza dell’intellettuale semplificando il suo pensiero e banalizzando la sua biografia, anche trasformando in un simbolo dell’omologazione intellettuale colui che in realtà era esattamente l’opposto.
Per questo motivo il fatto che sia stato un regista straniero ad affrontare la sua figura è, di per sé, un fatto positivo, anche tenendo conto che molti registi nostrani sono più o meno direttamente collegati a quel retroterra politico che di questa sterilizzante e sterile mitizzazione è stato il protagonista principale. Evitando sia il santino che il bio-pic realista, così come ignorando la strada dell’inchiesta, fondata o dietrologica che fosse, Abel Ferrara sceglie di rimanere fedele a se stesso, e accosta Pasolini a molti dei protagonisti più celebri della sua filmografia, puntando sulla quasi quotidiana e insistita discesa all’inferno del poeta. Questa viene esplicitata sia citando la celebre intervista concessa due giorni prima di essere ucciso a Furio Colombo (“Siamo tutti in pericolo”) sia rappresentando senza edulcorazione le sue abitudini e le sue frequentazioni notturne, restituite con il sapore di terra e di periferia e con l’odore della notte che a loro competono, ben più del raffinato profumo dei salotti intellettuali dove si è spesso preferito glissare. Per Pasolini la continua discesa agli inferi era un modo per cercare il senso del Sacro, della bellezza e della purezza, esattamente come per Abel Ferrara nella sua vita e per i protagonisti dei suoi film. Questa comunanza tra il regista italoamericano e lo scrittore di origine bolognese permette a Ferrara di fare una cosa coraggiosa e sulla carta impensabile: mettere in scena quello che Pasolini aveva solo potuto immaginare, quel PornoTeoKolossal che stava progettando come seconda puntata della trilogia sulla morte. Le immaginifiche scene di quel film nella realtà solo immaginato, significativamente ambientate nel presente, esplicitano l’ammirazione e il senso di vicinanza che Ferrara prova verso Pasolini. E rendono Pasolini allo stesso tempo un film estremamente concreto e un’opera quasi fantastica, ambientata da un lato nelle pieghe di una mente enorme proprio per il suo “sporcarsi” col mondo, e dall’altro nell’universo parallelo di un film che non esiste ma in cui si sarebbero potute trovare le chiavi per capire il futuro (cioè, il nostro presente). Non è un caso che le scene più deboli del film siano quelle più realiste e “di cronaca”, spesso rese in modo didascalico, in maniera quasi annoiata, come fossero dei raccordi narrativi necessari ma da sistemare il più brevemente possibile. Pasolini risulta così un film affascinante e ambiguo, a tratti scostante e in altri magnetico, potente nei momenti migliori come in quelli più effettistici e ingenui.
Pasolini [id., Italia/Belgio/Francia 2014] REGIA Abel Ferrara.
CAST Williem Dafoe, Ninetto Davoli, Riccardo Scamarcio, Adriana Asti, Maria De Medeiros.
SCENEGGIATURA Maurizio Braucci, Abel Ferrara. FOTOGRAFIA Stefano Falivene.
Drammatico, durata 97 minuti.