Primi piani
Arriva – per la prima volta in contemporanea con quasi tutto il resto del mondo – nelle nostre sale Xavier Dolan, autore odiato/amato, pop e “chic”, che con È solo la fine del mondo aggiunge un altro importante tassello alla sua sorprendente carriera.
Dividendo, come del resto solo i grandi artisti, sia il pubblico che la critica, Dolan questa volta si cimenta nella trasposizione di un testo teatrale di Jean-Luc Lagarce che gioca con la componente claustrofobica degli interni degli immobili e degli animi dei personaggi. Tutto opprime e la verbosità alla fine non riesce a far uscire la verità: parlano troppo ma non dicono niente, non lesinano le emozioni ma allo stesso tempo le reprimono. Antitesi che sembrano banali ma che invece sono il vero significato dell’opera. Dolan sguazza in questa incomunicabilità esaltando la potenza del mezzo cinema ancorato alla possibilità di “far vedere” i pensieri. Se il testo teatrale fa dell’immobilità della scena il punto di forza in cui le battute sono la vera azione, al cinema possiamo capire ciò che è rimosso e non si può esprimere con la parola. E così arrivano i ricordi d’infanzia, il primo amore evocato toccando il materasso in cui nasceva l’amore, le scene rubate dietro a dei vetri opachi. Si fatica a comprendere il perché sia stato fischiato e bistrattato dalla critica a Cannes (dove ha vinto invece il Gran Premio della Giuria): È solo la fine del mondo è un bignami del cinema dolaniano con la sua estetica da videoclip, la musica ad alto volume, l’omosessualità esposta e la figura della madre matrona. Anche qui la Martine di Nathalie Baye è il collante tra la confusione e la razionalità, tra il rapporto squilibrato dei figli, la sola che forse ha già capito ma che per rispetto e affetto non esprime i suoi dubbi. Una madre che non deve più essere uccisa (J’ai tué ma mère), non è una stralunata immatura (Les Amours imaginaires) non deve fare delle scelte funeste (Mommy), ma che cerca di amare tutti soltanto per salvare il salvabile. Struttura con uno schema drammatico con incipit, svolgimento e risoluzione, cadenzato da un ritmo opprimente che esplode nel bellissimo finale. Melò fatto di lacrime e sudore, confezionato con un vigoroso e strillato piglio critico: sull’istituzione della famiglia e sulla solitudine e l’autostima. Una prova sull’essenza del primo piano, esibito e completo. Un momento di autoanalisi per Dolan che non annoia, perché verosimile e identificante. Semplicemente un gran film.
È solo la fine del mondo [Juste la fin du monde, Canada/Francia 2016] REGIA Xavier Dolan.
CAST Gaspard Ulliel, Nathalie Baye, Léa Seydoux, Vincent Cassel, Marion Cotillard.
SCENEGGIATURA Xavier Dolan (tratta dall’omonima piéce teatrale di Jean-Luc Lagarce). FOTOGRAFIA André Turpin. MUSICHE Gabriel Yared.
Drammatico, durata 95 minuti.