Una Penelope spagnola
Un tessuto rosso come drappo di un sipario teatrale, invece solo abito di una donna. Una madre, Julieta, e una figlia, Antìa, che non si vedono da tredici anni. Una busta blu come il mare profondo, amico e nemico, quel ponto in cui Ulisse ha navigato per conoscere ma col desiderio di tornare a casa. La porta del tempo congiunge due universi: passato e presente.
Pedro Almodóvar, ispirandosi a tre racconti di In fuga di Alice Munro, torna al cinema con Julieta (che ha diviso Cannes), film violento e doloroso, urlato e sordo, che parla di sparizione e perdita. Julieta su un treno legge un libro sulla tragedia greca: la vita della donna è una beffa del Caso, felicità (l’incontro con Xoan) e dolore si stringono tanto da non lasciar respirare, le Parche hanno tessuto per lei una vita la cui trama è fatta di gioie piene e dolori laceranti. L’addio a Xoan e la sparizione della figlia sono lame affilate nella sua carne da parte di divinità gelose. È una Penelope due volte: addolorata e distrutta attende inutilmente che il compagno ritorni dal mare, depressa e stanca scrive la storia sua e della piccola Ulisse che ha portato in grembo e di cui per molto tempo lei stessa è stata figlia. Di sottofondo le prefiche sussurrano un canto di morte, unito però a quello di vita: eros e thanatos cadenzano la vicenda della giovane Julieta che vitale e pronta al mondo incontra l’amore quando in scena c’è la morte e lo vive avvolta dal rumore del mare che può far sepoltura. Su tutto incombe il senso di colpa che pesa come un macigno e travalica i confini corporei, dalla madre alla figlia, e l’attesa del nostos (ritorno) che immobilizza e riduce ai minimi termini Julieta. Un’attesa fisica e emotiva rapisce la protagonista come in una sorta di trance (un lungo flashback) a cui anche lo spettatore partecipa e che è anche un ritorno a casa, al cinema di Almodóvar, a quando le donne erano sull’orlo di una crisi di nervi, a quando colori ed emozioni erano vivaci e fantasmagorici. Ma c’è anche l’assenza (l’appartamento in cui la donna decide di ricominciare a vivere è praticamente vuoto) anch’essa fisica e emotiva (quella di Antìa) che riempie e devasta: “La tua assenza riempie tutta la mia vita e la distrugge”. Julieta ci scuote infilandosi nei nostri duri cuori, facendoci sentire le nostre mancanze e le nostre perdite, riempie i nostri vuoti di razionalità non facendoci percepire i nostri sensi di colpa. Almodóvar ci riporta con questo dramma – e non melodramma – alle sue storie di donne, quelle di Parla con lei (la moglie di Xoan è in coma) e di Tutto su mia madre, ma con un’opera più asciutta.
Julieta [id., Spagna 2016] REGIA Pedro Almodóvar.
CAST Emma Suárez, Adriana Ugarte, Priscilla Delgrado, Dario Grandinetti.
SCENEGGIATURA Pedro Almodóvar (tratta da tre racconti nella raccolta In fuga di Alice Munro). FOTOGRAFIA Jean-Claude Larrieu. MUSICHE Alberto Iglesias.
Drammatico, durata 99 minuti.