A scuola di manga
Contrariamente a ciò che accadde per anime come Goldrake o Georgie, venerati come veri e propri programmi di culto da intere generazioni di spettatori europei e che però già nei primi anni Ottanta palesarono la loro obsolescenza sia in termini di grafica che di plot, Akira, che ha da poco compiuto un quarto di secolo, non necessita di nessun lifting per venir attualizzato.
Non stupisce quindi la decisione di riproporre, seppure per una sola giornata, quest’opera antesignana di Otomo nei nostri cinema. 2019. Nella inquietante Neo Tokio i reduci di ben tre guerre mondiali sopravvivono faticosamente in una realtà fatta di violenza, ingiustizie, degrado sociale e instabilità politico-economica. Il giovane Kaneda è solito scorrazzare con la moto affrontando delle bande nemiche ma un giorno l’amico Tetsuo viene ferito in uno scontro a fuoco con l’esercito. Portato coattivamente in un laboratorio scientifico acquisisce degli straordinari poteri sensoriali e fisici che però mal si combinano con la sua frustrazione personale diventando micidiali. Soltanto Akira, una potente arma per il cui occultamento e mantenimento il governo ha inscenato delle farsesche Olimpiadi, potrebbe riuscire a controllarli. Nonostante la completa comprensione del plot risulti un po’ ostica per chi non non conosca l’omonimo manga e l’effetto sorpresa del climax imponga alla prima ora del film un ritmo volutamente lento (rendendola forse pure un po’ troppo piatta), l’unione di capitale umano e finanziario dei maggiori produttori nipponici e l’impiego di innovative tecniche digitali quali, la CGI e il pre-recording del doppiaggio, permisero ad Akira non solo di non passare inosservato nel panorama mondiale, ma anzi di fare scuola: gli scenari urbani futuristico-cibernetici visti negli ultimi capitoli di Star Wars o le gang di studenti che in Classe 1999 combattono in sella alle loro moto dei micidiali insegnanti androidi insospettabilmente si rifanno proprio a Otomo. E non finisce qui: basta infatti prendere dei titoli a caso fra la nutrita galleria delle anime giapponesi per intuire quanti e quali pregiudizi gravino in Occidente attorno a questa forma d’arte, considerata dai più come materiale destinato alle platee più giovani. In Kiss me Licia–Love Me Knight gli atteggiamenti equivoci di alcuni personaggi secondari e la celebre sigla (dove, secondo la leggenda, la ragazza bionda che assomiglia alla protagonista sarebbe la narratrice che nella versione originale dispensava nozioni di educazione sessuale) e persino le ironie e i doppi sensi sui complessi della simpatica ma maldestra Risa del recente Lovely Complex, fanno presagire come pur essendo passate attraverso una trafila di filtri e adattamenti per approdare sul piccolo schermo italiano le serie continuino a essere piene di rimandi a concetti più complessi e che esulano dalla semplice love story adolescenziale. Ebbene, fu proprio grazie a questo film, decisamente per adulti, che l’animazione nipponica riuscì a fare un enorme passo in avanti sia in termine di considerazione che di diffusione anche fuori patria iniziando sostanzialmente a essere considerata papabile per tutte le età e soprattutto un poliedrico genere artistico indipendente.
Akira [Id., Giappone 1988] REGIA Katsuhiro Otomo.
SCENEGGIATURA Katsuhiro Otomo, Izo Hashimoto. FOTOGRAFIA Katsuji Misawa. MUSICHE Shoji Yamashiro.
Fantascienza/Animazione, durata 125 minuti