Godot all’amatriciana
Riccardo Milani è sempre stato tra quei cineasti che hanno cercato di fare propria la lezione della commedia all’italiana adeguandola ai cambiamenti sociali in fieri, sulla scia di Daniele Luchetti (di cui è stato aiuto regista) ma con minor impegno politico e una maggior propensione al racconto didattico.
Con Grazie ragazzi il regista romano sembra tornare agli esordi di Auguri professore (1997) mettendo al centro di questa tragicommedia sociale il tema della formazione culturale e umana, ma delocalizzandolo dai banchi di scuola alle mura della Casa Circondariale di Velletri e prendendo a modello Un triomphe di Emmanuel Courcol (2020) di cui è dichiaratamente il remake.
Milani, negli ultimi anni, ha contribuito ad alimentare la moda dell’attuale cinema italiano nel rifare pedissequamente commedie francesi di successo, con Mamma o papà? (2017) e Corro da te (2022), e a quest’ultimo va almeno dato il merito di aver contribuito a rialzare le sale italiane durante la crisi della scorsa stagione. Grazie ragazzi è sì il rifacimento della commedia con protagonista Kad Merad ma alle spalle c’è ancora prima il documentario Les Prisonniers de Beckett (2005), incentrato sull’esperienze dell’attore svedese Jan Jönson all’interno della realtà carceraria e questo permette a Milani di alzare un pochino l’asticella della solita commedia nazionalpopolare in cui era precipitato negli ultimi anni (da Scusate se esisto! fino al dittico del Gatto in tangenziale), lavorando di scandaglio sociologico. Presa nel suo complesso, l’operazione messa in piedi da Riccardo Milani e da Michele Astori (che ha collaborato al soggetto e alla sceneggiatura) presenta non poche semplificazioni di scrittura e schematismi ideologici nel tratteggio di situazioni e personaggi (Bentivoglio è pura macchietta mentre Bergamasco è a un passo dal cliché) puntando, specialmente nella seconda parte del film, su una retorica da favola metropolitana (la plateale commozione del magistrato davanti alla pièce) che induce a sentimenti coatti, ma resta interessante il mix tra l’approccio più smaccatamente comico-patetico e quello semi-documentario nel descrivere l’inerte ritualità del mondo carcerario.
Grazie ragazzi è un film ambizioso che guarda a modelli alti come Cesare deve morire e Qualcuno volò sul nido del cuculo, imparentandosi maggiormente con Quattro pazzi in libertà per quanto riguarda il suo versante più scanzonato sostenuto da un gruppo di interpreti coeso e variegato (Vinicio Marchioni forse è il migliore) brillantemente guidato dal capocomico Antonio Albanese.
Albanese è un corpo-presenza in grado di vibrare come un diapason e di propagare le proprie onde vitali a tutto il film, un corpo attoriale che riscopre le proprie origini teatrali regalando un bel monologo finale e muovendosi nello spazio carcerario sempre in perfetto equilibrio tra umorismo e malinconia, dando vita (nella prima parte del film) a un work in progress teatrale in grado di ridurre a un certo minimalismo lo spazio scenico. Aspettando Godot messo in scena da Albanese e dal suo gruppo di detenuti diventa la piena catarsi per una comunità di reclusi e di esclusi, un teatro dell’assurdo che si scontra con la ben più assurda realtà, ma quel manicheismo all’amatriciana che divide nettamente l’umanità dei detenuti dalla disumanità dei secondini tende a inficiare un pochino l’esito finale di un film tutt’altro che disprezzabile e dalle intenzioni didattico-sociologiche ben più alte rispetto alla media di simili operazioni.