Le conseguenze della contabilità
Preciso, metodico, impassibile, anonimo e professionale. Così appare Christian Wolff, contabile di Chicago, persona mite che vive in una casa vuota ad altre persone se non per lui stesso. Ma anche dietro la più mite e noiosa delle apparenze si nasconde una seconda esistenza diametralmente opposta, quella di contabile chiamato ad assistere alcune per tra le più potenti organizzazioni criminali del mondo.
The Accountant ci svela subito questo dettaglio: un’indagine del Dipartimento del tesoro intende scoprire l’identità di Christian, ma questa rimarrà sempre una vicenda di contorno rispetto a quella centrale. Perché proprio come per l’uomo, le apparenze ingannano. Per una volta Christian è interessato a seguire un caso non criminale, una multinazionale di protesi, solo che dalle incongruenze di bilancio verrà a scoprire un segreto che metterà in pericolo lui e la sua nuova collaboratrice.
The Accountant, finché gioca sul parallelismo dicotomico di una persona ai limiti della società, funziona, nella regia attenta a riproporre l’assoluta perfezione di una persona che vive nel rigido mantenimento di un equilibrio tra una doppia vita e una forma d’autismo. Tutto calcolato: il momento in cui aprire il portone del garage, la disposizione del cibo, anche i momenti di lucida follia in cui con luce stroboscopica, musica hardcore e un manganello che sfoga su se stesso, attende il minuto esatto per prendere le medicine. Christian è un personaggio che affascina nella sua piena impassibilità (non si può dire che la scelta di Ben Affleck sia sbagliata); il problema sorge quando il protagonista si dimostra non solo un contabile dalla doppia esistenza, ma anche un’autentica macchina di morte. The Accountant si sorregge su continue dicotomie, a partire dal personaggio fino al genere, che si trasforma via via in action movie duro e puro. Scelta davvero poco felice che appiattisce la pellicola attraverso una serie di scontatezze. Nonostante questa sua seconda natura sia perfettamente integrata narrativamente, con un rapporto tra padre (ufficiale militare) e fratello (cui il destino è parallelo ma opposto) contestualizzato e centrale nel racconto. La freddezza di un matematico calcolatore si riversa nella freddezza di un assassino implacabile e impassibile: sarebbe anche un’intuizione funzionale ma del tutto non empatica. Vedendo The Accountant è quasi impossibile non pensare a Titta Di Girolamo de Le conseguenze dell’amore, in cui la geometrica perfezione anafettiva delle esistenze dei due protagonisti viene a scontrarsi con le imprevedibili conseguenze che i sentimenti comportano. Ma la differenza sta nella discrezione di queste conseguenze, la lentezza nel film di Sorrentino diviene arma perfetta e implacabile di un cambiamento profondo e devastante molto più della reazione violenta e fracassona di Christian Wolff, sostanzialmente vuota.
The Accountant [id., USA 2016] REGIA Gavin O’Connor.
CAST Ben Affleck, Anna Kendrick, J.K. Simmons, Jon Bernthal.
SCENEGGIATURA Bill Dubuque. FOTOGRAFIA Seamus McGarvey. MUSICHE Mark Isham.
Thriller/Drammatico, durata 128 minuti.