Ground control to Luc Besson
Si apre con Space Oddity di David Bowie l’ultimo lavoro di Luc Besson, Valerian e la città dei mille pianeti: la conquista dello spazio in tre minuti fra decine di strette di mano intergalattiche e specie aliene che si alleano per preservare la pace nel mond… pardon, nell’universo. Ed è subito space opera.
Il cineasta parigino si ispira all’omonimo fumetto che pare abbia influenzato George Lucas per Star Wars, contaminandolo con la più che granitica coerenza che ha attraversato tutta la sua carriera: per quanto Valerian possa ricordare esteticamente Avatar (la sequenza nel Big Market), Guardiani della Galassia (la sottintesa ironia dei personaggi e delle sottotrame: in fondo la fantascienza è un gioco) e il sopraccitato Star Wars, non lo si può da alcun punto di vista definire una “copia conforme” di un prodotto già esistente. L’ambizione è ben più alta, ed è quella di procedere sfacciatamente (Besson ha raggiunto uno status artistico di tale autonomia da permettergli affermazioni quali “Nei film americani si sviluppa una teologia che mi fa pena”) verso un’alternativa allo stampo Usa contemporaneo, o addirittura ad un suo superamento. Forzando un po’ – ma neanche troppo – la mano, si può dire che Valerian ribalti i blockbuster Dc e Marvel grazie al suo fascino da lavoro artigiano, dal quale emanano la passione e il coinvolgimento di un autore che è creatore del progetto fin dalle fondamenta (cosa che in America rarissimamente capita: di norma al regista viene affidato il copione già confezionato). Persino la trama è una dichiarazione di indipendenza: si parla di una civiltà scomparsa – quella dei pacifici Mül – per ragioni sconosciute, e degli agenti governativi Valerian e Laureline che quasi inconsapevolmente si ritrovano al centro di un fitto mistero che mescola governi, cattivi che sembrano buoni e insabbiamenti di varia natura. “È la storia dei nativi americani sterminati dalla civilizzazione”, chiosa senza mezzi termini Besson; e in fondo i “mille pianeti” del titolo non sono che le centinaia di Stati che popolano la Terra relativizzando la supremazia americana, aggiungiamo noi. Visivamente prodigioso e strabordante, Valerian è un’esperienza immersiva totale che mozza letteralmente il fiato per oltre due ore, capace di creare caratteri e personaggi che ci sembra di conoscere da un pezzo. Poco importa che l’alchimia fra i due protagonisti funzioni a singhiozzo (Cara Delevingne sta lentamente imparando a recitare, il passo in avanti dalla strega di Suicide Squad è chilometrico), Besson ha un tale controllo del mezzo da farci sopportare persino la brusca sterzata romantica e le prolissità dell’epilogo. Vuotiamo il sacco: di fronte a cotanto ingegno e a tale fantasia, la verità è che dall’ottovolante Valerian non vorremmo mai scendere.
Valerian e la città dei mille pianeti [Valérian et la Cité des mille planètes, Francia 2017] REGIA Luc Besson.
CAST Cara Delevingne, Dane DeHaan, Clive Owen, Ethan Hawke, Herbie Hancock.
SCENEGGIATURA Luc Besson (tratta dal fumetto Valerian di Pierre Christin e Jean-Claude Mézières). FOTOGRAFIA Thierry Arbogast. MUSICHE Alexandre Desplat, Sixlei.
Avventura/Azione/Fantascienza, durata 137 minuti.