L’indiscreto piacere di fare cinema
Lo aveva già fatto qualche anno fa John Carpenter con The Ward: tornare dietro alla macchina da presa per dirigere una pellicola del genere di preferenza – nel suo caso l’horror – concentrandosi su una narrazione che ripercorra il proprio cinema mostrando il gusto e il piacere del tornare a dirigere. Ora, con Jimmy Bobo – Bullet to the Head, tocca a Walter Hill, per riappropriarsi di uno stile ormai passato ma ritrovando il piacere di una messa in scena facente parte della propria essenza registica.
Un’idea di cinema che potrebbe essere nostalgica, ma che poco conta per chi realizza e assiste, come dimostrano l’esilità dei plot scelti da Hill e Carpenter, puri pretesti. Una decisione rafforzata dalla scelta di un eroe di “allora”, Stallone, messo al centro di un percorso di violenza e caratterizzato dall’insolita alleanza tra uno sbirro e un killer, duri a morire come tutti coloro che abitano questo mondo. Un percorso atto a smascherare il più classico universo di corruzione politica legata alla speculazione edilizia, in cui il contrasto tra mondo criminale e giustizia viene più volte ribadito negli intenti morali dei due protagonisti per esser poi tradito e confuso nella pratica. Una via lastricata da una scia di cadaveri che porta, più che allo scontro diretto con l’organizzazione, a mostrare come il vero cuore della vicenda sia sempre e solo il contrasto con un altro duro a morire, scontro magari ambientato proprio nell’edificio in rovina (tipica location dell’action che fu), simbolo decadente di un’America “maschia” costantemente concentrata e protesa al proprio farsi. Ma come è irreale la sequela di omicidi, così risulta finzionale la violenza cui assistiamo (pensiamo alla scena della sauna), lontana ed opposta – ad esempio – a quella sorda e lacerante de La promessa dell’assassino, fatta di carni e ossa maciullate internamente. I corpi di Bullet to the Head non risentono dei contatti, se non da pallottole e lame, come se ciò che conta davvero sia lo sguardo dello spettatore e come quest’ultimo risenta dello scontro, amplificato ed esaltato nel suo suono. Fisici che sembrano formati di una gomma temprata, corpi finti inseriti in un’opera di finzione; ma va bene così, perché Jimmy Bobo – Bullet to the Head dimostra di essere onesto con se stesso (al pari del suo protagonista Sylvester Stallone), aspetto che il cinema di genere contemporaneo mostra nel tempo sempre più di aver perso.
Jimmy Bobo – Bullet to the Head [Bullet to the Head, USA 2013] REGIA Walter Hill.
CAST Sylvester Stallone, Sung Kang, Sarah Shahi, Christian Slater.
SCENEGGIATURA Alessandro Camon. FOTOGRAFIA Lloyd Ahern. MUSICHE Steve Mazzaro.
Azione, durata 97 minuti.