Homo homini lupus
Un bicchiere, una carta di credito, un cellulare, una maniglia, il corrimano dell’autobus, la pulsantiera dell’ascensore, una stretta di mano, qualsiasi oggetto o semplice gesto sembra veicolare un nuovo e sconosciuto virus che inizialmente si manifesta come una banale influenza ma nel giro di poche ore porta alla morte.
Macao, Hong Kong, Londra, Tokyo, Chicago, Minneapolis sono solo le prime metropoli colpite ma presto la pandemia si diffonde a livello mondiale, scatenando il panico tra la popolazione. Iniziano così sciacallaggi, furti, violenze mentre il numero di contagiati e morti sale vertiginosamente.
In attesa di un vaccino l’unica soluzione è l’isolamento sociale, chiudersi in casa, evitare ogni contatto. È questo lo scenario apocalittico ipotizzato da Steven Soderbergh in Contagion, presentato Fuori Concorso alla 68ª Mostra del Cinema di Venezia. Seguiamo le storie di cinque personaggi, interpretati da altrettante star e Premi Oscar, in giro per il mondo. Persone diverse, più o meno comuni, ma tutte strettamente collegate tra loro che compongono un unico grande mosaico, esattamente come accadeva in Traffic. Aggirando con intelligenza stereotipi e convenzioni del genere, Contagion si presenta come uno dei migliori film catastrofici degli ultimi anni, oltre che specchio della nostra contemporaneità, dal rischio e la paura per la pandemia che ciclicamente e annualmente si affacciano, chiamandosi una volta Sars, l’altra influenza suina, alla globalizzazione (al primo problema dogane e confini vengono chiusi), fino ai sistemi di comunicazione e informazione. Emblematico a questo proposito il personaggio interpretato da Jude Law, giornalista freelance e blogger attivista, sorta di Julian Assange in piccolo e un po’ stolto, in lotta contro poteri forti, Enti, Istituzioni Internazionali e Corporazioni che mentono e proteggono le élite a scapito delle persone “semplici” o delle popolazioni più povere. E se è vero che Soderbergh in mezzo a quest’umanità terrorizzata e putrescente sceglie di focalizzarsi solo su personaggi tutto sommato positivi, il film si chiude su uno scenario tutt’altro che conciliante e consolatorio. Solo allo spettatore è infatti concesso vedere l’origine del virus, dopo di ché il time code si azzera e riparte da capo. Nell’attesa di un altro virus, di un’altra pandemia.