Spettatore pagante, spettatore parlante
Il Cinema Universale fu il luogo culturale più folle e vivace della Firenze a cavallo fra anni ’70 e ’80. In quella sala poteva accadere di tutto: misteriosi centauri entravano con la Vespa, urla e scherni al grande divo sullo schermo, scoppio di petardi e frequentatori in costume. Attraverso gli occhi di tre amici, Tommaso, Alice e Marcello, L’Universale racconta la vita del cinema attraverso la Storia e viceversa, fino al triste epilogo fin troppo reale.
Il film che Federico Micali ha cullato per anni, a partire da quello che si può considerare a tutti gli effetti il suo disegno preparatorio, ovvero il documentario Cinema Universale D’Essai (2009), approda nelle sale dopo l’abbuffata di spettatori fiorentini in lacrime al termine dell’anteprima. Difficile a dirsi se siano di gioia per un ricordo o un’immagine bellissima oppure di tristezza per un passato che ormai è Storia. Ma in fondo poco importa, perché dentro L’Universale simili dicotomie sarebbero cadute sotto i colpi possenti del caos e dell’ironia. Da un lato, Micali parte dall’esperienza e dalla conoscenza maturate grazie al lavoro di ricerca e raccolta, dall’altro si richiama, a livello visivo e di costruzione dei dialoghi, al principale modello di riferimento della comicità toscana post-sessantottina: Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci. Al Cioni Mario che, ripreso da uno spettatore per i suoi commenti in sala, gridava inviperito “non c’è mica scritto attori parlanti, spettatori silenti!”, fa eco, quasi quarant’anni dopo, Egisto Tamburini che, per lo stesso motivo, con ghigno e baffo alla Mastroianni di Divorzio all’italiana, dice “spettatore pagante, spettatore parlante!”. Con un registro orgogliosamente toscano, Micali muove i tre personaggi principali dentro e fuori dall’Universale che, lungo lo scorrere del film, diventa sempre più rifugio spirituale, luogo di evasione, al tempo stesso specchio e vittima dei mutamenti socio-culturali (primo fra tutti l’interesse per il grande cinema d’autore da parte degli studenti politicizzati). Il film necessita di due visioni perché, se determinate situazioni alla prima appaiono quanto meno forzate – ad esempio la tragedia di Alice – al termine della seconda comprendiamo con estrema chiarezza come la sua forza stia proprio nell’imperfezione, nel tentativo di fare un cinema che non esiste più – la commedia all’italiana di Monicelli, Steno, Age e Scarpelli – fatto invenzioni, lavoro sul campo, macchiette, giochi di parole e sessualità scanzonata. Un’imperfezione che è già presente nel destino dell’Universale: un cinema che, al tramonto di quel 1989 carico di significati, sogna una fine gloriosa, barocca, ma si deve accontentare dell’ironia beffarda di un funerale per pochi intimi.
L’Universale [Italia 2016] REGIA Federico Micali.
CAST Francesco Turbanti, Matilda Lutz, Robin Mugnaini, Claudio Bigagli, Paolo Hendel, Vauro Senesi.
SCENEGGIATURA Cosimo Calamini, Federico Micali, Heidrn Schleef. FOTOGRAFIA David Becheri. MUSICHE Bandabardò.
Commedia, durata 87 minuti.