Una stanza tutta per sé
Nel suo celebre saggio del 1929 Virginia Woolf spiega quanto sia importante per una donna avere “una stanza tutta per sé”, un luogo al tempo stesso fisico e metaforico di indipendenza, libertà, creatività e autoaffermazione. Nella Parigi del 1962 messa in scena da Philippe Le Guay in Le donne del sesto piano quello spazio fisico e mentale è ancora necessario e fondamentale.
Maria (Natalia Verbeke), giovane donna spagnola fuggita dalla dittatura franchista, è felice di avere finalmente una stanza tutta per sé perché nonostante sia solo una piccola camera in un sottotetto, con bagno in comune e senza doccia, è sempre meglio del dormitorio della fabbrica spagnola in cui era costretta a dormire dopo aver lavorato 15 ore al giorno. Aprendo la porta del sesto piano in cui Maria vive insieme ad altre donne spagnole, Jean-Louis Joubert (Fabrice Luchini), grigio e abitudinario agente di cambio e padre di famiglia, entra in contatto con una realtà e una cultura totalmente nuove e differenti dall’ambiente in cui è cresciuto e vissuto, eppure fisicamente così vicine a lui (“queste donne vivono sopra le nostre teste e non sappiamo nulla di loro”). Per la prima volta scopre la joie de vivre, l’affetto, la libertà e l’importanza di avere una stanza tutta per sé. Anche lui fino ad allora non ne aveva mai avuta una, passando dalla casa di famiglia, al collegio, al servizio militare e quindi al matrimonio. Persino sua moglie Maria (Sandrine Kiberlain), superficiale e arricchita donna di provincia, sente il bisogno di avere uno studio tutto suo per leggere la corrispondenza e raccogliere le proprie idee.
Ricostruendo la storia di un fenomeno migratorio che si verificò in Francia a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, Le Guay intavola un discorso estremamente attuale sulla Francia e, più in generale, sull’Europa di oggi. Queste donne “fiere e coraggiose”, fuggite dalla Spagna di Franco in cerca di lavoro e condizioni di vita migliori, finite poi a lavorare a servizio per ricche famiglie borghesi ottuse e ignoranti, ricordano da vicino le persone che quotidianamente fuggono da paesi lacerati da dittature e guerre civili. Argomenti importanti, delicati e attuali quindi, affrontati però con l’ironia, la gioia e la leggerezza, che non diventa mai superficialità, tipiche della miglior commedia francese. Con toni piacevolmente fiabeschi Le Guay ipotizza il superamento delle ideologie e delle barriere sociali, razziali e culturali attraverso la conoscenza reciproca, il dialogo e la comprensione. Si/ci concede un happy end liberatorio e toccante in cui un uomo rigido e spento trova la forza e il coraggio di lasciare certezze e abitudini granitiche per cambiare finalmente vita, un uomo che sfidando le regole e le convenzioni del proprio tempo riesce a far sentire, anche solo per un giorno, un gruppo di “serve spagnole” delle vere signore, delle “reinas”.