Carta carbone? Solo qualche foglio, grazie
“Il miglior film horror americano degli ultimi 20 anni”, firmato Stephen King. Solitamente, quando un film viene presentato con simili frasi entusiaste pronunciate da una qualche celebrità del genere, è bene girarsi e correre il più lontano possibile. Questa volta no, Blood Story non va evitato, semmai approfondito.
Il film di Matt Reeves è infatti il remake americano di un piccolo grande film svedese del 2008, Lasciami entrare di Tomas Alfredson (a sua volta tratto dall’omonimo romanzo di John Ajvilde Lindqvist), uscito in sala in Italia nel 2009 per cavalcare l’onda del successo di Twilight, dato che narra la storia d’amore tra un dodicenne umano e una sua coetanea vampira. Lo fa però con ben altro spessore rispetto alla celebre macchina hollywoodiana crea-teenager-urlanti, dove l’uso della figura del vampiro è più simbolica che d’effetto, e permette lo sviluppo di originali discorsi sul Male, sulla violenza della società e sulla sessualità, con scoperti rimandi a The Addiction di Ferrara. A vedere il trailer, Blood Story più che il remake pare la fotocopia di Lasciami entrare, ma non è così, o almeno non è proprio così. La storia è sì la stessa, ripetuta fedelmente in tutti i suoi punti focali, con dialoghi quasi identici e molte scene girate in maniera similare (come il finale in piscina), ma Reese è meno audace nell’affrontare le tematiche scabrose dell’originale: se da una parte il discorso verte sulla scoperta, anche violenta, della sessualità e della propria identità sessuale, dall’altra tutto si risolve in una più platonica storia di amicizia, certo commovente ma di gran lunga meno incisiva; l’introduzione del personaggio del detective che indaga sulle morti causate dalla vampira dà al film un’interessante venatura thriller, ma toglie spazio ad altri personaggi come i coetanei che vessano il protagonista a scuola, indebolendo il paragone tra la violenza della società “civilizzata” con la violenza di chi è costretto a praticarla per sopravvivere, punto cardine dell’originale; l’azione viene spostata dalla Svezia contemporanea al New Texas del 1983, in modo da giustificare l’uso dei deliranti discorsi televisivi di Reagan sulla purezza religiosa degli USA e sulle fiamme dell’inferno, e poter così accennare al tema del Male di stampo religioso, assente nella pellicola svedese e comunque superficialmente sviluppato nel suo remake. Essere meno audace rispetto a Lasciami entrare non toglie però meriti a Blood Story, che resta un film molto curato e appassionante, sicuramente più spettacolare dell’originale (si veda ad esempio la scena dell’incidente automobilistico del padre della vampira, girato tra l’altro come l’incidente automobilistico di Fabio Testi ne Il grande racket di Castellari) e degno di ogni attenzione. Non sarà “il migliore film horror americano degli ultimi 20 anni”, ma certo è nella top ten.