Roadmovie dell’identità multipla
Arthur Newman è il nome alquanto ordinario che Wallace Avery si è scelto un giorno per caso, e che lo guida verso il coup de théatre della propria esistenza: una finta morte e una nuova identità per sfuggire da un grigiore in parte frutto delle circostanze, in parte della propria inadeguatezza emotiva.
Arthur incontrerà presto una giovane sbandata, Charlotte/Micaela/Mike Fitzgerald (nomi più belli e impegnativi), anche lei vestita di un paio di identità e accompangata da paure e vuoti, provocati però da differenti premesse. Il mondo di Arthur Newman è un road movie sentimentale le cui tappe diventano i luoghi dell’interpretazione di un amore, estremizzazione del tentativo di abbandonare se stessi che accomuna i due protagonisti: l’infrazione nell’amore altrui (e nell’altrui quotidianità) è un appiglio per perdersi in due anziché da soli, e completare l’illusione di una vita da colmare di momento in momento. Funziona la caratterizzazione di Arthur/Colin Firth, l’uomo che abbandona la propria identità insoddisfacente non per lanciarsi nel vuoto dell’imprevedibile ma per adattare se stesso a un’immagine di sé che si è inventato, pescando dal rovescio del fallimento sportivo (più facilmente “delimitabile” di quello familiare): rivanga un sogno ormai irrealizzabile (il golf, con tutto il bagaglio di noia che si porta dietro; e infatti Wallace “è noioso” nelle parole del figlio e della fidanzata) e tenta di avvicinarvisi il più possibile. E infatti, nonostante i suoi tiri sbagliati e il suo tracollo sportivo si trovino su Youtube, nemmeno per un momento ha il dubbio di poter essere riconosciuto da chicchessia. In Mike/Emily Blunt sembrano invece confondersi personalità borderline, fragilità emotiva e lo spettro della malattia mentale, ma il film finisce per non approfondire nessuno di questi aspetti. E’ proprio nell’incapacità di entrare realmente dentro i personaggi che sta il principale difetto di Arthur Newman: come da titolo, il punto di vista prevalente è quello di lui, ma c’è poco spazio per conoscerlo e indagare le motivazioni dei suoi gesti, sia direttamente che attraverso le incursioni del figlio Kevin a casa sua dopo la scomparsa. Anche l’intuizione di un avvicinamento in absentia tra Kevin e la fidanzata di Wallace è troppo rarefatto per costituire un vero contraltare all’identità-Arthur che vediamo in parallelo. Così, i risultati della “cura” reciproca dei protagonisti (non esente da cliché visivi: ad un certo punto ecco inevitabile la contrapposizione tra scena di sesso e scena d’amore), che conducono al finale conciliatorio, appaiono troppo repentini, e l’impressione che rimane a fine film è quella di aver condiviso un viaggio con qualcuno che a fine percorso è rimasto per noi un estraneo.
Il mondo di Arthur Newman [Arthur Newman, USA 2012] REGIA David Ariola.
CAST Colin Firth, Emily Blunt, Anne Heche, Phillip Troy Linger.
SCENEGGIATURA Becky Johnston. FOTOGRAFIA Eduard Grau. MUSICHE Nick Urata.
Drammatico, durata 101 minuti.