Piangere per cominciare
Con un pianto si viene alla luce, la prima voce di ciascuno è frammista alle lacrime: un cambiamento di stato, di orizzonti, niente più sicurezze e nuove regole da costruire.
Con un pianto si cresce e si pone un sigillo ad ogni maturazione, ad ogni accresciuta e conquistata sensibilità. Si piange quando ci si affaccia sul mondo con una nuova consapevolezza o dopo che un’illusione o qualcosa a cui si credeva è caduto. Se lo spaesamento è totale quando si è adulti, figurarsi quando si è piccoli, bambini o adolescenti, quando le proprie gambe e le proprie forze ancora non hanno fiducia di sé e in ogni direzione cercano qualcosa o qualcuno a cui aggrapparsi. La piccola Frida in Estate 1993 ha perso entrambi i genitori per AIDS, ma non ha pianto; è rimasta sola ed è andata a vivere con lo zio, la sua energica compagna e la loro figlia. Viene accolta con dolcezza ma il suo temperamento è troppo libero, troppo spontaneo, troppo impulsivo e mina facilmente l’equilibrio della famiglia. È estate e sembra che la vita sia sospesa, circoscritta ad una villa di campagna in cui domina il gusto del silenzio, dell’attesa e del ritmo naturale che alterna giorno e notte, nascita e morte, maturazione e mutazione. Ma Frida tarda a mutare, è circondata da un alone di dolore irrisolto, ma mai questo dolore viene interiorizzato o metabolizzato, piuttosto viene riversato sulla cugina Anna, ancora più piccola di lei, che imita Frida e comincia a sentirla come sorella maggiore. Al contrario Frida prova invidia, quell’invidia spietata e crudele che solo i sentimenti non mediati dei bambini sanno esercitare: porta Anna nei boschi e la lascia nel folto degli alberi dicendole, come per gioco, di aspettare e non muoversi fino al suo ritorno. Non c’è però nessuna intenzione di tornare: la colpa di Anna è di essere oggetto privilegiato dell’amore materno e paterno, Frida le è seconda in tutto e sente di non potersi affidare totalmente alle premure dei nuovi genitori, sente che parte dei suoi passi si muovono ancora sulle sabie mobili e sul vuoto. Prova a fuggire ma ritorna, prova a conquistarsi i suoi spazi ma sono ancora troppo stretti e vincolati al suo passato, prova a farsi degli amici ma gli altri bambini, indotti dai genitori, la evitano per paura di un possibile contagio. Frida sembra essere vittima del tempo e della lenta erosione della memoria, si porta addosso un ricordo come un peso, come una coltre che l’annulla. Allo stesso modo si porta addosso l’inquadratura che Carla Simon le affida, ponendola sempre al centro, come una responsabilità o come un’attesa, allo stesso modo in cui si punta una macchina da presa su un elemento naturale, un fiore o un paesaggio per osservarne il cambiamento in un tempo lungo. Infine, quando Frida scoppia in un pianto inspiegabile, l’osservazione può dirsi conclusa. Estate 1993 è, in questo senso, cinema scientifico, uno studio sulle relazioni affrontato poeticamente, con stile sicuro e una mano giovane ma già decisamente ferma.
Estate 1993 [Estiu 1993, Spagna 2017] REGIA Carla Simon.
CAST Laia Artigas, Bruna Cusì, David Verdaguer, Paula Robles. SCENEGGIATURA Carla Simon. FOTOGRAFIA Santiago Racaj. MUSICHE Pau Boigues e Ernest Pipò.
Drammatico, durata 97 minuti.