SPECIALE KEN LOACH
Il castello di Kafka
Daniel Blake è un uomo di mezz’età che, in seguito a un malore, si trova preso tra due fuochi: da un lato l’impossibilità di tornare a lavoro imposta dalle certificazioni mediche, dall’altro il rifiuto degli indennizzi statali per un’invalidità non ritenuta tale. Mentre Daniel cerca di dirimere le questioni burocratiche, il tempo scorre e l’uomo deve far fronte a necessità puramente alimentari. A lottare insieme a lui incontra altre persone, tra cui Katie, giovane madre ridotta sul lastrico dall’incuria assistenziale.
Dopo tanta attività sociale e politica, Ken Loach riceve la Palma d’Oro a Cannes 2016 con Io, Daniel Blake, un film sicuramente meno di impatto e meno spettacolare, forse persino meno poetico, degli altri titoli in competizione, ma che regala momenti di innegabile commozione e di sapiente ironia caustica. Pur nell’esagerazione di alcune dinamiche, Loach continua a presentare con semplice linearità l’eterna lotta tra il singolo individuo e l’inadempienza burocratica, senza mai cadere nella retorica populista o in riottosi escamotage. Sullo sfondo di una serie pressoché infinita di figuranti che cercano in tutti i modi di deresponsabilizzare se stessi e lo Stato nel prendere qualunque decisione utile al miglioramento delle condizioni dei singoli, due anime emergono forti e decise, unite dalla forza con cui cercano di sottrarsi all’uniformità grigia delle stanze paragovernative. Welfare, inadeguatezza assistenziale, ottusità istituzionale e lotta individuale sono ormai diventati dei veri e propri capi saldi della carriera di Ken Loach, fuori e dentro dalle sale cinematografiche. Tutta la forza di decenni di lotte contro i mulini a vento della burocrazia arroccata in castelli kafkiani si riversa nelle ultime produzioni del regista, comprese le avventure (dal sapore a tratti western, a tratti iperrealistico) di Daniel Blake. I piccoli gesti di disobbedienza civile e di disperazione diventano esplosioni disperate di un’umanità in cerca di complicità e in questo lo sguardo rassegnato della coprotagonista Haylay Squires avrebbe molto da insegnare anche agli interpreti più navigati (memorabile l’episodio del banco alimentare sociale). Ad accompagnare alcuni fili narrativi ben riusciti ce ne sono altri che rimangono in sordina, che non raggiungono un’adeguata completezza argomentativa e che quindi risultano in fondo un po’ avulsi e ridondanti (per esempio il commercio di scarpe taroccate o l’accenno alla risonanza mediatica dei graffiti di Daniel). Ken Loach firma un film potente nella sua semplicità, che, anzi, paga per i momenti in cui cerca di moltiplicare e sovrapporre le narrazioni presentate, ma che riesce ad ottenere l’impatto decisivo grazie ad alcune vette di spiazzante realismo, con l’aiuto determinante di due protagonisti perfettamente in parte.
Io, Daniel Blake [I, Daniel Blake, Gran Bretagna/Francia 2016] REGIA Ken Loach.
CAST Dave Johns, Haylay Squires, Briana Shann, Dylan McKiernan.
SCENEGGIATURA Paul Laverty. FOTOGRAFIA Robbie Ryan. MUSICHE George Fenton.
Drammatico, durata 100 minuti.