L’arte di perdere
“Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento delle chiavi perdute, dell’ora sprecata. L’arte di perdere non è difficile da imparare. Poi pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta”.
L’arte di perdere di Elizabeth Bishop può ben spiegare il dramma quotidiano di Alice Howland, protagonista di Still Alice (tratto dall’omonimo romanzo di Lisa Genova) di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, passato all’ultimo Festival Internazionale del Film di Roma. Alice, una misurata e disperata Julianne Moore, ha una vita felice: è moglie e madre adorata e brillante docente di linguistica, ma un giorno qualcosa si rompe: la malattia le piomba addosso e perde il suo “stato naturale”. Scopre di essere affetta da una rara e precoce forma di Alzheimer e si allontana da sé, perde parole, vive rincorrendole senza mai raggiungerle. Il film mette la fisicità della Moore a servizio della malattia e del dolore ed è questo che sorregge e sostiene l’opera stessa. Il suo volto si indurisce, le mani sono più nodose, la lingua e la mente si accartocciano; estranea nella sua casa, straniera tra i suoi affetti, naufraga senza gesti, parole ed espressioni si assottiglia, riducendosi ai minimi termini, in una deriva toccante, in una regressione struggente. Emerge la resistenza di una donna speciale che fa di tutto per non consumarsi, tenendo stretti memoria, ricordi, la traccia di sé e del “resto”. I registi seguono lei, la sua battaglia, la morte e l’abbandono della “vecchia” se stessa, il disagio e la vergogna di una donna che impara a perdere. Il fuori svanisce come in una magia di bambini, e il dentro si espande: Alice, racchiusa in una stanza di torpore e silenzio, di bianco e “Amore”, come in una lallazione faticosa da sopportare e sostenere. Noi entriamo in questo vortice di lacune e le nostre mani tese cingono le sue membra desiderose di un abbraccio che tra la sua assenza e la nostra presenza si celebra nel video, ultimo saluto di una donna a se stessa. Still Alice scava nel suo stesso mondo diegetico facendo spazio al corpo della Moore che “ingombra” con la sua pelle diafana, segnata da Fatica e attimi di Felicità e che riempie, pur nella sua inevitabile “sistolia”, insensata farfalla che si contorce regredendo a bruco. Still Alice trasuda e straripa verità e commozione, ci tiene legati, anche con i suoi difetti e la sua lentezza, grazie all’interpretazione della Moore calibrata, quasi maniacale, seguendo l’involuzione della malattia.
Still Alice [Id., USA 2015] REGIA Richard Glatzer, Wash Westmoreland.
CAST Julianne Moore, Kristen Stewart, Alec Baldwin, Kate Bosworth, Hunter Parrish.
SCENEGGIATURA Richard Glatzer, Wash Westmoreland. FOTOGRAFIA Denis Lenoir. MUSICHE Ilan Eshkeri.
Drammatico, durata 99 minuti.