Amore, tempo, morte (e ricatto morale)
Il mantra di Collateral Beauty viene esplicitato nella prima scena del film, quando un rampante Will Smith motiva i dipendenti della sua azienda ricordando che la vita di ognuno è regolata dall’amore, dal tempo e dalla morte. Ecco i tre motori che ci spingono ad esistere, o all’opposto a rinchiuderci in noi stessi nei momenti di difficoltà.
Sarà proprio lui, il carismatico dirigente, a maledirli tre anni dopo: l’amore si è rivelato una beffa atroce, a causa di un destino cinico che gli ha strappato la giovane figlia decisamente in anticipo sui tempi. E la quotidianità s’è fatta mortifera: depressione, solitudine e istinti suicidi diventano le parole d’ordine di un uomo ormai alla deriva, incapace di reagire. A questo punto le entità dell’Amore, del Tempo e della Morte – come in un novello Canto di Natale – vengono a fargli visita. Ma non è propriamente così: la verità (filmica) è che i suoi amici, indecisi fra una terapia d’urto che lo rinsavisca e un piano diabolico che lo affossi definitivamente per rilevare la società, assoldano tre attori spiantati per impersonare i concetti di cui sopra. L’obiettivo è – appunto – o farlo impazzire o fargli capire che tutto è permeato d’amore, che il tempo è un alleato e che la morte è nella normale natura delle cose. È un periodo ipotetico dell’irrealtà: a chi verrebbe mai in mente di mettere in atto un progetto così assurdo, trovando dei complici non solo nei colleghi ma anche in tre sconosciuti disposti a giocare con la vita di un altro essere umano? Collateral Beauty va visto essenzialmente con questo spirito: senza crederci troppo. Ma al contempo qua e là facendo atto di fede e credendoci un po’, nel momento in cui snocciola i suoi concetti psico-filosofici fondanti. Su tutti ovviamente l’idea della “bellezza collaterale”, che francamente resta solo un bellissimo accostamento di parole anche dopo la scena madre al ristorante. L’opera di David Frankel va incontro a svariate incongruenze, di scrittura – falle tappate da personaggi che appaiono e scompaiono, mere “funzioni narrative” – e di tenitura sulla lunga durata. La regia le risolve sfiorando continuamente il ridicolo, calando l’asso del ricatto morale (un giorno sugli scaffali troveremo in cofanetto la “Trilogia del ricatto” di Will Smith, formata da Sette anime, Zona d’ombra e Collateral Beauty) e confondendo le acque, ovvero shackerando i colpi di scena e i finali (due, che si contraddicono) lasciando a chi guarda un ventaglio possibile di bislacche interpretazioni. Perché Collateral Beauty non è alla ricerca di un vero senso logico, ma del modo più ruffiano per convincerci che quel senso logico possa esserci. Un imbroglio, in estrema sintesi, un’operazione subdola; ma molto – questo non possiamo negarlo – abilmente congegnata e confezionata.
Collateral Beauty [Id., USA 2016] REGIA David Frankel.
CAST Will Smith, Kate Winslet, Edward Norton, Keira Knightley, Helen Mirren.
SCENEGGIATURA Allan Loeb. FOTOGRAFIA Maryse Alberti. MUSICHE Mychael Danna, Theodore Shapiro.
Drammatico/Fantastico, durata 97 minuti.