Dal tramonto all’alba
Nei villaggi dell’entroterra sardo si tramanda una leggenda: alcune donne, maledette dal destino, di notte si trasformano in “surbile” esseri vampireschi che entrano nelle case per succhiare il sangue dei neonati. Per difendersi gli abitanti lasciano oggetti rovesciati nelle stanze o granelli di semola che la surbile conta fino ad addormentarsi per poi dissolversi all’alba.
Più di altre cinematografie l’Italia ha scavato dentro se stessa alla ricerca delle antiche tradizioni che, necessariamente, si portavano appresso dicerie, miti, storie incredibili. Ieri come oggi, che si parli di Brunello Rondi e del suo Il demonio (1963) – anticipatore delle possessioni con le quali Friedkin terrorizzerà mezzo mondo dieci anni più tardi – o di Federica Di Giacomo che con Liberami cala quello stesso demonio nelle forme di marginalità contemporanee, il rapporto con la possessione attraversa la storia del cinema italiano dal secondo dopoguerra in poi senza soluzione di continuità.
Tra la narrazione di pura fiction e il (falso) documentario, Giovanni Columbu sceglie una terza via: apre la porta che collega il mondo dei vivi a quello degli esseri eterei e ne mette in scena le conseguenze. La sua non è una ricerca, non interroga il presente attraverso il sovrannaturale come fa Di Giacomo e non mette alla prova lo sguardo e il pensiero dello spettatore come Fabio Mollo in Vincenzo da Crosia (2015). A lui interessa la leggenda in sé, la dà per scontata così da metterla costantemente in discussione durante l’intero film attraverso i personaggi intervistati (alcuni provenienti dalla sua famiglia). Nelle case dove si svolge la lotta tra la surbile che vuole entrare e le persone che vi si oppongono assistiamo a un alternarsi costante di punti di vista che unisce piani di realtà teoricamente distanti – il corpo fisico delle persone, la loro proiezione astrale/onirica, la presenza/non-presenza della surbile, gli oggetti inanimati − che lo statuto di racconto leggendario richiama dentro un’unica esperienza quotidiana: un horror del reale.
Columbu sa, come Sergio Atzeni, che le origini di una terra si preservano attraverso la trasmissione orale e poi letteraria. Lui usa le immagini, le plasma costruendo ponti con la video-arte (vengono in mente i cammini infiniti di Bill Viola) ma il risultato è il medesimo: un rito. Lo stesso con cui chiude il film: una comunità raccolta attorno al fuoco per intonare un canto che, al tempo stesso, scaccia e preserva la leggenda.
Surbiles [Italia 2017] REGIA Giovanni Columbu.
SCENEGGIATURA Giovanni Columbu, Maria Grazia Perria, Elena Pietroboni. FOTOGRAFIA Paolo Negro. MUSICHE Stefano Tore.
Documentario, durata 73 minuti.