Doppia personalità
Chi scrive, oltre ad essere un beatlesiano convinto, considera Martin Scorsese tra i maggiori registi americani viventi, nonostante i suoi ultimi film di finzione risultino più conformisti e mainstream in confronto ai capolavori realizzati nei decenni precedenti. Dispiace, dunque, non poter condividere il coro unanime di consensi ricevuti da George Harrison: Living in the Material World, documentario incentrato sulla figura di George Harrison.
Il film non manca di materiali rari abbastanza interessanti e affianca con fluidità registrazioni audio e foto, canzoni e dichiarazioni (di conoscenti, amici, parenti e di Harrison stesso), voce fuori campo e filmati di repertorio. Il mestiere di Scorsese non è in discussione; però l’impressione è che, nonostante la durata, il film non riesca a trovare il tempo per approfondire molti aspetti del personaggio e che rimanga un po’ in superficie. Il fatto che lo schivo Harrison non si riconoscesse nell’immagine che i media gli avevano cucito addosso e che riservasse solo alla musica il privilegio di rappresentare la sua personalità complessa e il suo ricchissimo mondo interiore avrebbe dovuto magari indurre a evitare un’operazione così difficile. Tralasciando lo stucchevole, datato e ripetitivo misticismo orientaleggiante di cui il documentario è permeato, possiamo comunque considerare degno di nota l’emergere di un inaspettato elemento psicologico da questo ritratto d’autore piuttosto convenzionale, un elemento ricorrente nelle interviste a chi ha conosciuto Harrison. Vale a dire una sorta di scissione bipolare tra il George mite, dolce e tranquillo e il suo volto nascosto, rabbioso e irascibile, tra l’Harrison che cede con indifferenza e asessuato distacco la sua donna Pattie all’amico Clapton (che ringrazia) e il marito fedifrago impunito, tra la freddezza con cui apprende la notizia della morte di Roy Orbison e il suo pianto a dirotto dopo l’aggressione subita in casa, poco prima di morire serenamente e in piena pace spirituale. È proprio in questo senso che l’amico Klaus Voormann lo descrive come estremo in tutto, capace di passare in breve tempo da un eccesso all’altro. Ed è probabilmente proprio questo tormento esistenziale di Harrison, nel tentare di conciliare innata passionalità e predisposizione agli eccessi da un lato, forte spiritualità e tranquillità armoniosa dall’altro ad aver attirato l’attenzione di Scorsese e a dare un senso all’intero documentario.
George Harrison: Living in the Material World [Id., Gran Bretagna 2011] REGIA Martin Scorsese.
SOGGETTO Martin Scorsese. FOTOGRAFIA Robert Richardson, Martin Kenzie. MONTAGGIO David Tedeschi.
Documentario, durata 208 minuti.