Fantasmi a Roma
Il film in costume pare sia tornato alla ribalta nell’ultima produzione cinematografica italiana attraverso il Medioevo tragicomico di Il pataffio e quello oscuro e mistico del Dante di Pupi Avati, proseguendo con il biopic “caravaggesco” di Michele Placido per giungere a Il principe di Roma, ambientato nella capitale durante il 1829.
Edoardo Falcone non estraneo all’elemento fantastico (quasi sempre presente all’interno del suo cinema), rimodella l’arcinoto plot del Canto di Natale dickensiano sulla commedia popolare romanesca con cornice storica, guardando più a Marcello Ciorciolini che a Luigi Magni e ambientando la vicenda in una Roma papalina per gran parte ricostruita tra Orvieto e Ariccia.
Il principe di Roma si apre con toni brillanti e citazionisti che rievocano Il marchese del grillo (1982), riesumando battute antologizzate (“Morto un papa se ne fa sempre un altro!”) e alcuni iconici personaggi del cult di Monicelli (il contabile, il servitore), ma è solamente l’avvio per poi muoversi in tutt’altra direzione. La sceneggiatura firmata a quattro mani dal regista e Paolo Costella pesca più che altro nella commedia popolare meno autoriale da Meo Patacca (1972) a Rugantino (1973) ma senza la schietta goliardia presente nei film di Ciorciolini e Festa Campanile, da cui viene più che altro ripreso il modello della donna volitiva e indomabile qui incarnata dalla brava Giulia Bevilacqua nel ruolo di Teta. Poi il racconto si apre al fantastico con rimandi a Fantasmi a Roma (1961) di Pietrangeli e al gotico italiano, calando così la commedia storica in un climax quasi alla Riccardo Freda quando compare la figura incappucciata della negromante Betta. Marco Giallini nel ruolo dell’avido e cinico Bartolomeo, pronto a qualsiasi cosa pur di acquistare il titolo di principe, funziona bene adeguando la sua maschera da De Niro di borgata all’intreccio umoristico-fiabesco e trovandosi nuovamente nei panni di un personaggio prossimo al riscatto dopo il ruolo del ladro redento nel precedente Io sono Babbo Natale (2021) sempre diretto da Falcone.
Ma nonostante la maschera di Giallini e i comprimari di lusso che lo supportano (il migliore è Sergio Rubini nel ruolo di Accoramboni) l’operazione appare spesso posticcia (nelle ricostruzioni scenografiche e nei costumi) e forzatamente parassitaria nei vari rimandi a cui allude, finendo per risultare solamente una simpatica strizzata d’occhio alla fiaba natalizia per antonomasia, perdendo gradualmente lo smalto brillante dell’avvio e cedendo alla morale sentimentale.
Le apparizioni spettrali di Beatrice Cenci, Giordano Bruno e papa Borgia possiedono il gusto dell’affettuosa e ironica partecipazione di Denise Tantucci, Filippo Timi e Giuseppe Battiston senza però andare oltre l’exploit bozzettistico e contribuiscono a fare di Il principe di Roma un’operazione incerta e irrisolta anche se curiosa e anomala nel panorama dell’attuale commedia italiana.