IndieAllen
Siamo a Los Angeles, trentadue anni dopo la traumatica esperienza per il newyorkese verace Alvy/Allen di Annie Hall: Lo stravagante mondo di Greenberg inizia infatti con una panoramica sulla città degli angeli, dove ritorna dopo parecchi anni passati a New York Roger Greenberg, ospitato nella casa del fratello in partenza per il Vietnam.
Greenberg è reduce da una degenza in un ospedale psichiatrico: nevrotico, egocentrico, sociopatico, umorale, lamentoso, paranoico, appare come un coacervo di nevrosi e manie alleniane rilette in chiave più malinconica e più tipicamente indie.
Se il protagonista non sta bene, certamente non sta meglio chi lo circonda: malattia, solitudine, fallimenti caratterizzano i vecchi amici e permeano l’ambiente che Roger ritrova, soprattutto per quanto riguarda Florence, aiutante domestica della famiglia del fratello e coprotagonista del film, anche essa in apparenza condannata all’infelicità e alla monotonia. Roger e Florence iniziano uno strano rapporto, reso difficile dalla paura di lei e dalla follia di lui.
Baumbach per raccontare questa storia di solitudine, smarrimento e malattia fisica e mentale, sceglie il tono sommesso della commedia malinconica e del cinema indipendente americano, con l’aggiunta di frequenti echi alleniani e di numerose citazioni letterarie. L’umorismo sarcasticamente trasognato di Wes Anderson, di cui Baumbach è sceneggiatore, è accantonato a favore di un minimalismo che vuole sottolineare l’inutilità della vita del protagonista, accentuata da una fotografia plumbea e monocorde in cui i colori accesi sono quasi del tutto assenti.
Per evidenziare la monotonia dell’esistenza del protagonista, ai momenti fittamente dialogati si alternano lunghi momenti di silenzio in cui Roger ripete gli stessi atti e gli stessi percorsi, quasi condannato ad una coazione a ripetere, e in cui la colonna sonora assume un significato importante.
Si ride poco e si sorride molto in questo film, nonostante in certi punti diventi esso stesso troppo ripetitivo e si “accartocci”. Se riusciamo a comprendere e a venire coinvolti dalla stravagante non esistenza di Greenberg, è soprattutto grazie all’ottima prova di Ben Stiller, il quale si prende sulle spalle buona parte dell’opera, con un personaggio che rende esplicite le nevrosi solo accennate in molte sue commedie precedenti. Da sottolineare è anche l’altrettanto efficace interpretazione di Greta Gerwig nel ruolo di Florence.