Parole represse
Impreparata alle difficoltà che il primogenito Kevin le riserva, Tilda Swinton interpreta la parte di una donna in aperto conflitto con la maternità. Ma la tragedia è immane, inspiegabile: Kevin (Ezra Miller) fa irruzione a scuola e compie una strage.
Lei, la madre, si chiede dove abbia sbagliato e rilegge la propria vita alla luce dell’evento che le ha stravolto l’esistenza. I ricordi, allora, si macchiano di rosso. Un’ossessione cromatica che, per tutto il film, tinge sedie e pareti e marchia la coscienza della madre inadatta. Ritenuta colpevole di un’educazione mancata, Tilda Swinton porta in viso i segni dell’espiazione restituendo, con un’interpretazione degna di nota, la gravezza del senso di colpa. Non a caso si chiama Eva, come colei che porta in grembo il peccato e dà origine al male. Arrivata al suo terzo lungometraggio, l’emergente regista britannica Lynne Ramsay bilancia tensione emotiva e ritmo narrativo e, muovendosi tra presente e passato, va in cerca del seme della violenza, trovandolo ora annidato nell’eccessiva durezza della madre, ora nell’accondiscendenza di un padre (John C. Reilly) troppo buonista. Rifacendosi al romanzo Dobbiamo parlare di Kevin della scrittrice Lionel Shriver, …e ora parliamo di Kevin sviscera le controversie di un rapporto madre-figlio fatto di somiglianze e prese di distanza, a tratti speculare: se Eva accetta e tace, Kevin rifiuta e agisce. Inspiegabilmente. Perché uccidere? Ma anche perché risparmiare chi si odia, almeno nell’apparenza? Quest’ultima, l’apparenza, viene messa a nudo dalla macchina da presa che la mostra nelle sue varie declinazioni: nella quotidianità di una famiglia ordinaria e nella straordinarietà di chi, pur di contraddistinguersi, premedita una vera e propria follia. Attraverso i ricordi e i rimorsi di una tormentata coscienza, la storia ci viene linearmente restituita senza risolversi in una redenzione che, abbandonate le fosche tinte del rosso, si tinge inverosimilmente di bianco, lavandosi del peccato. Il film, in ultima istanza, apre una riflessione sulla parola: la parola repressa, che soffoca il disagio di una maternità incarnata nella magrezza di Eva; la parola stentata, che si affatica nella ricerca del dialogo in famiglia e la parola che vorrebbe descrivere l’insensatezza di una tragedia, cogliendone le ragioni, ma che invece lascia posto al silenzio. Davanti all’assurdo nessuna parola è infatti possibile: non c’è ragione che spieghi cosa si celi nel fondo di un abisso.
…e ora parliamo di Kevin [We Need to Talk About Kevin, USA/Gran Bretagna 2011] REGIA Lynne Ramsay.
CAST Tilda Swinton, John C. Reilly, Ezra Miller, Siobhan Fallon Hogan.
SCENEGGIATURA Lynne Ramsay, Rory Kinnear (tratta dal romanzo Dobbiamo parlare di Kevin di Lionel Shriver). FOTOGRAFIA Seamus McGarvey. MUSICHE Jonny Greenwood.
Drammatico, durata 112 minuti.