Furia
120 battiti al minuto, terzo film da regista di Robin Campillo, trova la sua linfa vitale nei contrasti: è come se i vari toni e i differenti approcci che lo caratterizzano fossero forze opposte che, scontrandosi, si annullano a vicenda ottenendo la giusta sintesi.
Non ci sono solo banalmente il pubblico e il privato; la testimonianza politica e storica convive con il melodramma gay, talvolta accentuato, e l’interiorità individuale con il senso d’appartenenza collettiva. Ci sono, inoltre, momenti fittamente parlati e momenti in cui l’immagine è autosufficiente, c’è una componente realista e ci sono inserti visionari quasi metafisici, così come momenti quasi da cinema-verità lasciano spazio a frammenti di regia, per così dire, più evidente e accattivante. Inoltre rabbia e amore si compenetrano a vicenda, così come la disperazione e la speranza, la forza e la debolezza, la paura e l’orgoglio. Sintetizzando, la vita e la morte, l’Eros e lo Thanatos. Insomma, raccontando l’esperienza da lui vissuta nei primi anni ’90 nell’Act Up parigino (sintetizzando: un movimento nato negli Stati Uniti nel 1987 che aveva l’obiettivo di far aprire gli occhi sulla condizione dei malati di AIDS e sull’esistenza dell’epidemia anche con manifestazioni e attività plateali e radicali), Campillo cerca da un lato di riassumere il senso di quella stagione offrendo pure un modello politico di rivalsa e di lotta valido anche per la contemporaneità, e dall’altro di realizzare un affresco completo sotto ogni punto di vista della condizione, anche quella più intima, dei singoli personaggi, compresi i comportamenti più sofferti, i più eccessivi e quelli più ingenui. Tutti in qualche modo motivati dal furore, che sia quello dovuto alla rabbia e alla paura o che sia quello nato dalla disperata voglia di vivere e amare. Le sintesi che i contrasti e le forze opposte creano scontrandosi, come accennavamo all’inizio, sono proprio queste: la potenza e la furia, simboleggiate narrativamente dalle sequenze di sesso esplicito e stilisticamente dalle studiate e improvvise esplosioni di varie tendenze della musica elettronica. 120 battiti al minuto è un film potente: lo è in ogni attimo, negli scoppi della passione erotica come nei momenti fittamente parlati che raccontano le lunghe assemblee del movimento. È un film che trasmette quasi in ogni istante un senso di furia, positiva o negativa a seconda dei casi. Poco importa quindi che ci siano scene e sequenze che se fossimo ragionieri troveremmo meno utili, centrate e necessarie di altre, perchè nel complesso tutto torna, tutto frastorna lo spettatore e tutto acquisisce un senso. Gran bel finale. Gran Prix a Cannes 2017 e preoccupante divieto nelle sale italiane ai minori di 14 anni.
120 battiti al minuto [120 battements par minute, Francia 2017] REGIA Robin Campillo.
CAST Nahuel Pérez Biscayart, Arnaud Valois, Antoine Reinartz, Adèle Haenel.
SCENEGGIATURA Robin Campillo. FOTOGRAFIA Jeanne Lapoirie. MUSICHE Arnaud Rebotini.
Drammatico, durata 140 minuti.