Una questione di feeling
Il cinema, quello di genere soprattutto, è spesso una questione di aspettative. Paura e desiderio giocano la loro partita con lo spettatore e qualche volta il risultato, con tutta la buona volontà del mondo, non può che essere legato al regno del soggettivo.
Prendiamo Machete, per esempio: è un bel film, è un brutto film? E’ riuscito oppure no? Non sono queste le domande giuste. Ciò che conta, alla fine, è solo una cosa: ti sei divertito, guardandolo?
Di sicuro, Robert Rodriguez si è divertito a girarlo, e non si è risparmiato quasi niente, un po’ come in Planet Terror. Rituffatosi nell’atmosfera assolata e polverosa della sua prima trilogia messicana, Rodriguez mette in fila una sfilza di scene d’azione, ciascuna pronta a diventare, anche da sola, mitica e iconica. Non dimentichiamo che Machete è un film tratto da un trailer. E Machete stesso (il protagonista, interpretato da un monumentale Danny Trejo) è un personaggio leggendario, un eroe da fiaba sanguinolenta, pressoché invulnerabile e immortale, che continua imperterrito a camminare per la propria strada, non importa quanti proiettili gli si possa scaricare addosso.
Nessuno chieda una trama verosimile o sorprendente, a Machete. Anche il cosiddetto “messaggio politico” antirazzista è poco più che un pretesto narrativo (però a noi italiani fa molta impressione vedere un Senatore sparare sui clandestini, avendo ancora nelle orecchie certe bestialità degli Speroni nostrani). A partire dal prologo in stile graffiato Grindhouse, il film è un profluvio fumettistico di arti mozzati e budella rovesciate, condito con le ossessioni più “latine” di Rodriguez, riferimenti religiosi compresi. I personaggi sono tagliati con l’accetta – una delle moltissime presenti sul set – e strabordanti nella loro fisicità carismatica: il cast è azzeccato che più non si potrebbe, a partire dall’insostituibile volto di Trejo, fino a un “pesantissimo” Steven Seagal e a un Robert De Niro sorprendentemente più a suo agio in un film di serie zeta che in una delle tante commediole cui si presta ultimamente (e c’è chi ha apprezzato l’ardire di far recitare il forse peggiore attore di sempre insieme ad uno dei riconosciuti giganti dell’Actors Studio). Un cast di “maschere” che mescola stelle hollywoodiane ai caratteristi feticcio di Rodriguez senza sbagliare, ripescando anche Don Johonson, e facendo risplendere Jessica Alba, Michelle Rodriguez e, sì, perfino Lindsay Lohan.
Certo, bisogna trovarsi a proprio agio, in questo mondo “rodrigueziano” esagerato ed eccessivo, dove qualunque oggetto della vita quotidiana può trasformarsi in un’arma micidiale, e dove ogni legge della fisica può essere piegata a quelle della spettacolarità. E poi bisogna anche non annoiarsi, durante quello che è, in fondo, un lungo combattimento ininterrotto. Detto questo, ci si può divertire molto, apprezzare l’ironia delle battute, rintracciare le inevitabili citazioni cinematografiche. Con le aspettative giuste (no, non è un capolavoro, neanche del cinema pulp) e la giusta predisposizione, un’ottima ora e mezza di popcorn e sana violenza non ve la toglie nessuno.