Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica, Gorizia, 19-28 luglio 2012
Una folle determinazione
Sempre più cinema degli eroi, sempre più cinema degli effetti speciali. Di quelli – i primi – che svolazzano agili tra i grattacieli delle città, fanno gruppo per salvare la terra dall’ennesima invasione aliena, indossano maschere e tutine in latex per meglio assolvere al dovere di angeli custodi dell’umanità. E di quelli – i secondi – che scelgono la scorciatoia della tridimensionalità per stimolare il coinvolgimento di spettatori spesso stanchi e demotivati. Ma c’è chi non ci sta.
E persegue un’idea di cinema diversa, improntata al principio fondante che esso sia – e debba essere – sguardo originale sulle cose, sul mondo, sugli angoli bui della società, che sono come polvere sotto un tappeto di pericolose sovrastrutture. Un cinema che sceglie di farsi testimonianza composta e sincera, essenziale nella sua semplicità scevra da narrazioni iperboliche e visioni inebrianti, che con coraggio si “mette a servizio” del reale e del meraviglioso che ne caratterizza la quotidianità. Siamo a Quartu Sant’Elena, in Sardegna, nella residenza denominata Casamatta. Fondatrice di questa struttura, istituita sulla base dei principi ispiranti la Legge Basaglia del 1978, è Gisella Trincas, donna piccola ma agguerritissima, dalla disarmante carica energica, che da ben diciassette anni dirige un “unicum” nel panorama socio-assistenziale italiano. Insieme a lei, armate di pazienza e operosità, altre operatrici concorrono a fare di Casamatta un luogo di amorevole accoglienza per otto persone insidiate da un male subdolo e sottile, condizione esistenziale percepita come irreversibile destino di emarginazione e solitudine. Qui, nel 2009, entra la mdp di Enrico Pitzianti, un occhio lieve e attento che per tre mesi si aggira tra le stanze e gli umori di una famiglia allargata, registrando gioie e sorrisi, lacrime e scoramenti, fino a diventare presenza amica tra le innumerevoli difficoltà di ogni giorno. Dalle piccole occupazioni dentro e fuori la casa al rapporto di affetto incondizionato operatrici-pazienti, dai dignitosi tentativi di personale inserimento sociale all’intimità straziante della confessione/sfogo – un vero “a tu per tu” con la macchina da presa – il documentario di Pitzianti individua una via di accesso privilegiata a quell’universo “altro” che è la realtà dei malati mentali. In essa, le sfumature del disturbo raccontano storie individuali e “dicono” di potenzialità sconosciute, impossibili da ridurre in omologanti categorie di mero uso strumentale. Casamatta è una casa “speciale” con esaltanti aspirazioni da casa “normale”: la normalità è l’esigenza primaria di vedersi riconosciuto il diritto alla ricerca della felicità. Si comprende, e tanto più si apprezza in quest’ottica di realizzazione delle singole individualità, la scelta del regista di intrecciare le storie dei residenti di Casamatta con gli ostacoli affrontati dalla Trincas e la sua squadra in seguito a un’ingiunzione di sfratto e alle accuse, infamanti, di maltrattamenti sui pazienti. In un’escalation di tensione emotiva, acuita da un uso funzionale del montaggio – a situazioni di distensione all’interno della casa si alternano immagini di profonda angoscia palpabile sui volti di Gisella e delle operatrici – su Casamatta si riversa la lava corrosiva del pregiudizio e della paura, resa ancora più incandescente dall’incapacità mentale all’ascolto e alla comprensione (l’associazione è ancora alla ricerca di una nuova casa). Nella lotta con il mondo esterno, la granitica determinazione della Trincas riesce a ristabilire le coordinate etiche entro le quali ravvisare la pazzia e segna punti a suo favore contro mostri fagocitanti come l’ignoranza e la cecità mentale – ed è una Trincas fiera e gioiosa quella che comunica agli spettatori, a fine proiezione ufficiale del film in una sala commossa ed entusiasta, che le accuse di maltrattamenti e di esercizio abusivo della professione medica sono state smontate. Perché si potrà anche arrivare a scomunicare in diretta, e in nome di Dio Padre, un’invasiva macchina da presa (il filmare è sempre un atto “sovversivo”, dopotutto…). Ma chiudere gli occhi, distogliere lo sguardo, rifiutare aprioristicamente di guardare, e così cercare di capire, una realtà estranea ai contorni rassicuranti e definiti del proprio orizzonte di riferimento, questa sì che è l’unica, vera, ingiustificabile “roba da matti”.