La vi(t)a del ferro
“Benvenuti alla città più alta del mondo”, recita un murale che compare nelle prime immagini di Steel Life, documentario diretto da Manuel Bauer, in programma al Pordenone Docs Fest. Siamo a Cerro de Pasco, in Perù, situata a più di 4300 metri sul livello del mare e caratterizzata da enormi miniere a cielo aperto che sono arrivate fino al centro della città, ponendola su un baratro che rischia di farla sprofondare.
Sin dai primi minuti, con quell’immagine della città dall’alto e con il nugolo di cavi elettrici connessi con uno stacco di montaggio al filo spinato, affiora la carica figurativa e politica nei luoghi, negli scorci e negli ambienti mostrati dal documentario, sottolineando come le azioni umane volte allo sviluppo finiscano spesso con il ritorcersi contro la società, opprimendola e portandola verso il baratro.
Steel Life (il cui titolo originale, Vida Férrea, gioca sul termine spagnolo di ferrovia, sostituendo via con vida) prende le forme di un (rail)road movie, seguendo il percorso della Peruvian Central Railway, che connette Cerro de Pasco a Lima e all’Oceano Pacifico e che soprattutto viene usata per il trasporto di minerali. Una vera e propria arteria principale del paese, la cui economia si basa prevalentemente proprio sul settore minerario. Il documentario di Bauer osserva l’intera catena, dalla miniera ai lunghi tragitti in treno, sino ad arrivare al porto e al momento del carico sulle navi, con momenti quasi alla stregua del fluviale Logistics, dando risalto all’elemento materico e fisico del trasporto, evocato a partire dal prologo in cui le rocce ribollono e si disgregano. Ma il tragitto si rivela soprattutto un viaggio nel cuore del Perù, con uno spirito persino riconducibile all’anima del western, improntata sul ruolo (non sempre edificante) della ferrovia che porta verso ovest, sul rapporto con lo spazio e sul concetto di frontiera, in Steel Life legato soprattutto ai limiti fisici e sociali che emergono dalle immagini e dai vari racconti. L’enorme locomotiva e i molti vagoni che porta con sé discendono lenti e inesorabili dalle vette più alte delle Ande, come un fiume che trascina minerali mentre aggira pareti rocciose e affronta angusti passaggi e ripidi pendii, testimone (e causa) della trasfigurazione del paesaggio.
Nel suo percorso il treno raccoglie anche storie di vita personali e quotidiane nelle città che incontra sul proprio cammino. Storie differenti, eppure accomunate dalla ferrovia, che oltre ai luoghi unisce racconti e vite, legando l’anima del paese. La Compagnia è fonte di lavoro e di sostentamento per molte persone e per chi ci lavora diventa come una famiglia, ma Bauer, attraverso il suo viaggio, ne coglie anche i lati negativi, mostrando i paesaggi trasfigurati, i parchi per bambini situati nei pressi di fabbriche e ciminiere e i dati sull’inquinamento e sul valore di piombo nel sangue di molti bambini che abitano in quelle zone. Alla ricchezza mineraria del paese (non adeguatamente sfruttata e controllata, direttamente o indirettamente, da paesi esteri) si contrappongono quindi i problemi legati alla salute e all’istruzione, ancora molto diffusi. Si torna allora a Cerro de Pasco, all’immagine della città inghiottita dalla miniera, dove gli abitanti dopo i 60 anni sono costretti a trasferirsi se non vogliono rischiare seri problemi di salute legati all’altitudine. Perfetta rappresentazione di una società e un’umanità sull’orlo del baratro, in piena metamorfosi e straniera in patria, come chi decide di invecchiare lì, nonostante tutti gli amici e i famigliari se ne siano andati.