I contorni di un genere
Cal Weaver (Steve Carell) scende da un’auto in corsa, ed inizia la sua profonda autocommiserazione. La moglie Emily (Julianne Moore) ha confessato di averlo tradito con il collega David Lindhagen (Kevin Bacon) e di volere il divorzio.
Vodka al mirtillo e comincia l’analisi: la propria vita, la propria età, la casa, i figli, le attenzioni. Tutto nella norma. Forse è questo il problema. Ostentando la propria stanchezza e la fine delle proprie illusioni, Cal si lascia avvicinare da Jacob Palmer (Ryan Gosling), sicuro e luminoso Apollo pronto a divertirsi con la propria ingenua cavia. Mentore e guardiano di un mondo notturno glamour, addestra l’imbranato amico a perfetto conquistatore. Ma questa è solo un’avventura per recuperare un po’ di fiducia, forza, e per capire, grazie a un giovane e romantico messaggero, che l’amore di una vita esiste e vive indipendentemente, e non può essere cancellato. Intanto Jacob si accorge che a volte è meglio rompere le regole del galante conquistatore, e scoprire il piacere di lasciarsi ascoltare. Hannah (Emma Stone) è la ragazza giusta per un vero parlare. Non servono più ampollosi monologhi, e inni alla bellezza per soddisfare l’istrionico egocentrismo di frivole fanciulle. Il quotidiano inizia ad avere un fascino profondo, e a tirare fuori un Jacob più vero e genuino. Ma l’intreccio è ancora troppo semplice, i personaggi ancora troppo pochi…
Mancano all’appello il figlioletto tredicenne del protagonista, l’insegnante di lettere (Marisa Tomei) sedotta ed abbandonata da Cal, la baby-sitter diciassettenne segretamente innamorata del gentile signor Weaver, e i suoi genitori apertamente schierati dalla parte di Emily. Un coro e un balletto per questa lunga catena di personaggi nel climax del terzo atto, e infine il ritorno all’ordine. Una sceneggiatura perfetta per la coppia Glenn Ficarra e John Requa (Babbo bastardo, Colpo di fulmine – Il mago della truffa, Cani & gatti – La vendetta di Kitty) per la seconda volta alla regia, ma i contorni sempre perfetti di queste pellicole svelano un approccio e un lavoro un po’ manierista. Non è facile rinnovare un genere così strutturato, ma osservare con tanta devozione tali regole finisce per dare troppo spesso l’impressione del “prodotto in serie”. Perché non sbavare e “sbagliare” per catturare e sorprendere lo spettatore?
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