Le conchiglie sono cattedrali
Il Duomo è un simbolo, è il monumento entro i cui profili Milano sintetizza le proprie appartenenze, è l’espressione artistica che identifica la storia di un città, il suo percorso nei secoli. Ma cosa accadrebbe se lo scoprissimo un’immagine vuota, mai pienamente acquisita dallo sguardo dei suoi visitatori e osservatori? Come permettere a un’immagine di essere riscoperta, di essere sondata e processata, di muoversi e diventare cinema?
Potrebbero essere le domande alla base del nuovo documentario di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, capitolo autonomo di quello che, col titolo di Spira Mirabilis, sarà un film incentrato sull’idea d’immortalità e declinato secondo i quattro elementi aristotelici della natura, acqua, terra, aria e fuoco, cui si aggiungerà l’etere, materia ideale del cinema. L’infinita fabbrica del Duomo è uno studio sul monumento che, fin dai primi minuti del film, non viene mai presentato come intero, risolto, risultativo, ma piuttosto miniaturizzato nelle singole parti che lo compongono, nella pietra fattasi frammento, nei gesti minuti di chi la modella, negli atti materiali, umili e determinanti, degli uomini che hanno provveduto alla sua manutenzione nel tempo. È un film su un processo culturale, sotto le cui spinte il Duomo è stato prima creato, poi tenuto in vita, dunque reso immortale. Un film che racconta come si trova un’immagine: facendo dell’inquadratura un viaggio nel tempo. Il lavoro di D’Anolfi e Parenti respinge il primato della parola e la confina in didascalie dal flusso costante, che ispirandosi agli archivi della Veneranda Fabbrica del Duomo ora raccontano la genesi del monumento, ora suggeriscono allo spettatore l’idea di un cinema come laboratorio, approccio artigianale alle cose, materia organizzata dal pensiero nel suo stesso farsi, medium che, a oltre cento anni dalla sua invenzione, oggi deve anzitutto riflettere su se stesso. Nelle stupefacenti immagini che ritraggono prima il cimitero delle statue dismesse, poi le cave, l’archivio e la fabbrica, infine la stessa chiesa, la presenza umana è riconosciuta ma resa discreta, mai esposta gratuitamente nei volti e nei corpi. L’esito è, paradossalmente, un elogio ancor più forte dell’epopea dei senza storia che, con la loro vita e la loro opera, possono aver contribuito a pochi centimetri di architettura, ma averlo fatto per sempre. L’uso dell’immagine d’archivio, altro livello prezioso di cui il film si dota, ci dice che ad ogni positivo (il monumento turisticamente inteso) corrisponde un ben più importante negativo, fantasmatico e misterioso, ideale fuori campo capace di raccontare il lavoro sottile del tempo, il tempo infinito del lavoro. La speranza di questo slancio non ha possibile definizione, se non quella che un sillogismo poetico in chiusura al film estende, sotto forma di possibilità, a tutto l’esistente: “Il Duomo è cresciuto da una conchiglia, le conchiglie sono cattedrali”.
L’infinita fabbrica del Duomo [Italia 2015] REGIA Massimo D’Anolfi, Martina Parenti.
SOGGETTO Massimo D’Anolfi, Martina Parenti. FOTOGRAFIA Massimo D’Anolfi. MUSICHE Massimo Mariani.
Documentario, durata 74 minuti.
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