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Adulterio, sangue, fato
C’erano una volta, in un piccolo villaggio sul monte del Passo Jiayu, il vecchio e malvagio Wang, proprietario di una spaghetteria, la sua giovane e bella moglie, innamorata di un loro dipendente, e due servi. Mentre l’uomo assolda un poliziotto, Zhang, per far uccidere moglie e amante, la donna acquista una pistola per usarla contro il coniuge.
Questi sono gli ingredienti di Sangue facile di Zhang Yimou presentato al 60° Festival di Berlino, conosciuto a livello internazionale come A Woman, a Gun and a Noodle Shop, pensato come remake del primo film dei fratelli Coen, Blood Simple. Il regista di Lanterne rosse trasporta la vicenda nell’affascinante terra cinese, immergendola nello stile slapstick della vecchia scuola di Hong Kong, all’interno del wuxiapian. La struttura portante resta quella dei Coen, ma lo stile e l’atmosfera subiscono un radicale cambiamento. Nel film confluiscono le caratteristiche della messa in scena tipiche della piece teatrale di Pechino, il continuo ammiccamento al cinema contemporaneo – pensiamo alle varie sequenze in cui ci sembra di essere in un western alla Leone – e la farsa più scatenata. Infatti l’avaro Wang, i due servi idioti e l’amante pavido sembrano discendere dalla nostra Commedia dell’arte, tanto quanto dalla commedia latina. È affascinante notare come il sangue, che scivola dai corpi producendo un rumore sordo, simile a quello delle gocce d’acqua che escono del rubinetto, sia fortemente legato all’ironia e al riso e non tanto, o meglio, non solo al ribrezzo e al disgusto; anche nei momenti di massima tensione, quando il destino si compie, il grottesco riesce a strappare un sorriso: pensiamo al dente “da roditore” – caratteristica esasperata del servo sciocco – che rotola dal corpo del proprietario, o alle varie urla e maschere pietrificate che i vari personaggi, spaventati, emettono e indossano. Lo humour nero che percorre tutto il film è reso ancora più evidente dalla sensazione claustrofobica che avvolge i personaggi, rinchiusi tutti nella labirintica casa di Wang e, paradossalmente, anche all’esterno di essa; è come se non ci fosse altro mondo all’infuori di quella prigione, in cui il fato si compie e a cui, come in una tragedia greca, non ci si può sottrarre. L’idea delle Parche che tirano le fila dell’esistenza sembra legata indissolubilmente a quella pistola “maledetta” il cui contatto segna la vita di chiunque. A questa maledizione può sottrarsi solo la donna, personaggio centrale nella cinematografia del regista, figura femminile che stanca di una vita di soprusi, angherie, violenze da parte del marito si affranca, senza l’aiuto di quel pavido compagno per cui ha messo tutto in discussione, ribellandosi, grazie a quell’arma a cui tutti soccombono. Zhang Yimou ci presenta un film intelligente, sardonico, che racconta stupidità e avidità umana, portandoci in un mondo e in una cultura che non ci appartengono, dandoci non completamente e non solo un remake, ma un’opera che non soccombe sotto il peso dell’originale, ma diventa un’altra cosa, personale, intrisa della sua tradizione.
Sangue facile [San qiang pai an jing qi, Cina/Hong Kong 2009] REGIA Zhang Yimou.
CAST Sun Honglei, Xiao Shen-yang, Ni Dahong, Mao Mao, Ni Yan.
SCENEGGIATURA Shi Jianquan, Shang Jing. FOTOGRAFIA Zhao Xiaoding. MUSICHE Zhao Lin.
Drammatico/Commedia, durata 95 minuti.