La malinconia del commissario Daoud
È freddo e buio a Roubaix, è la notte di Natale e la città è in fiamme. Il commissario Daoud sta facendo la ronda notturna, di lì a poco si scateneranno una serie di eventi nefasti. Liti, truffe, criminali recidivi, stupri e omicidi fanno parte di Roubaix, la città dove il commissario ha passato l’infanzia e in cui è appena arrivato un nuovo poliziotto, il giovane investigatore Cotterel.
Presentato al Festival di Cannes 2019, l’ultimo film di Arnaud Desplechin è estremamente incentrato sulla realtà, quella che tassello dopo tassello il regista ha costruito intorno a Roubaix, sua città natale e ossessione. La piccola città industriale è per Desplechin come la Martigues in Toni di Jean Renoir, ciclicamente invasa da qualcosa che la fa ritornare al punto di partenza. Il regista, infatti, non smette mai di scrutarla, di scoperchiare vasi che racchiudono scomode conoscenze, e affida questo sublime lavoro ai suoi attori che, in dialogo costante con la macchina da presa, creano un triangolo amoroso fra autore, camera e attori.
Le parole del commissario Daoud rassicurano vittime e carnefici allo stesso tempo, è un uomo dotato di una pacatezza e di un’eleganza rare, soprattutto all’interno di un film poliziesco. Desplechin, infatti, riprende e decide di non tagliare le passeggiate di Roschdy Zem, avvolto nel lungo cappotto nero, perché è così che si muove un uomo dotato di grazia. Quest’ultima è infatti la caratteristica che gli permette di non giudicare mai chi ha davanti.
Daoud insieme a Cotterel indagano sul brutale omicidio di un’anziana signora. Vengono indiziate le conviventi, amiche e amanti Marie e Claude, vicine di casa della vittima. E se Cotterel si dispera davanti allo sguardo glaciale, ostinato e furioso di Léa Seydoux, il commissario Daoud nel corso del suo interrogatorio a Marie, interpretata da Sara Forestier, sottolinea con tranquillità che non ama arrabbiarsi e che raramente gli capita.
Daoud si fa incarnazione di una lunga serie di personaggi che Desplechin, con la sua macchina da presa, nel corso dei suoi precedenti film (da Comment je me suis disputé… (ma vie sexuelle) e Racconto di Natale fino a I miei giorni più belli e I fantasmi d’Ismael) ha dissezionato, per esplorare nel dettaglio i sentimenti messi in scena dagli attori. Daoud si muove rilassato nell’ombra, perché in realtà è lui l’unica luce all’interno delle misteriose vie di Roubaix. Conosce le “sue” persone, sa sempre chi sono i colpevoli e sa dove cercare all’interno della fitta rete di strade e palazzi. Ama quella città o forse più semplicemente si fa carico dell’ossessione del regista che, questa volta, ha deciso di darle vita come se fosse un altro personaggio.
Roubaix è cupa, è un’ombra che, nel suo prendere vita, risucchia tutta la luminosità di cui parla l’ispettore, ma lui, imperterrito, non si lascia atterrire dalla crudeltà che lo circonda e dal linguaggio inclemente dei criminali. Daoud e Desplechin in Roubaix, una luce nell’ombra vivono i ricordi con aria malinconica, ma guardano al futuro (si pensi a quando l’ispettore racconta delle giornate in cui osserva i bambini giocare al parco come faceva lui da piccolo) con la convinzione che cercare di comprendere le persone sia una possibile chiave per il progresso.
Roubaix, una luce nell’ombra [Roubaix, une lumière, Francia 2019] REGIA Arnaud Desplechin.
CAST Roschdy Zem, Léa Seydoux, Antoine Reinartz, Sara Forestier. SCENEGGIATURA Arnaud Desplechin, Léa Mysius.
FOTOGRAFIA Irina Lubtchansky. MUSICHE Grégoire Hetzel. Poliziesco/drammatico, durata 119 minuti.