Il futuro è donna
Il racconto è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo, e l’autore è chi sceglie di seguirne linearità e coerenza potendo anche distorcerle, alterandole, o chi decide quando (se) e come ricomporre un eventuale mosaico di immagini, una “mera” questione di forma che diviene sempre altro,
Ed è questa una delle linee guida della comune utopica di Seybu in Capri-Revolution: l’arte, la percezione comune e l’estetica che si evolvono con il mutare stesso dei tempi, e quindi dell’uomo, e l’impatto, o meglio il ruolo che la suddetta arte riveste nell’incedere ciclico della sua storia. Ed è il cinema a far sì che diversi tempi e idee – il personaggio di Seybu rappresenterebbe sia il pittore tedesco Karl Diefenbach che Joseph Beuys, figura preminente dell’arte contemporanea tra gli anni Sessanta e Settanta – coesistano, irrompano gli uni contro gli altri, influenzandosi e ricostituirne i frammenti è per lo spettatore un invito alla scoperta, alla ricerca costante.
Tra eco delle varie forme dell’happening (Beuys, Abramovich) e dell’azionismo viennese incarnato nell’invasata figura dello psicanalista che abita la comune, e brevissimi richiami alle dinamiche di un conflitto mondiale che resta volutamente sullo sfondo, Mario Martone si distacca dalla lucida e chirurgica precisione cronachistica di Noi credevamo continuando a guardare alla Storia non da una posizione presente data per scontata, immodificabile. Quel cliché “museale” da surclassare e di cui parla Christian Petzold riguardo La donna dello scrittore, suo ultimo lavoro. In Capri-Revolution il presente è sì quello dei primi anni dieci del Novecento, ma visto da una posizione mediana, nell’interstizio tra il dato, il concreto e ineffabile succedersi degli eventi (il cinico medico socialista del paese si presta a questa visione, considerando la guerra come unica alternativa) e un suo possibile diramarsi verso altri orizzonti, altri spiragli d’esistente contro un presente angusto, lo spazio della comune come luogo di sperimentazione e ricerca, di conflitto intimo, specialmente della protagonista Lucia.
Lucia è poi il fulcro della narrazione. Nel sibilare mai asfissiante della natura a un certo punto prende il volo, librandosi sugli spazi come i due protagonisti di First Reformed, oltrepassando l’“ermo colle”, e Martone riadatta anche questa volta la spinta immaginativa, l’incanto dell’illusione leopardiana «qualcosa di bellissimo e rivoluzionario nel nostro tempo» come lui stesso ha dichiarato in una recente intervista. Lucia prende il volo distaccandosi da una realtà a cui non sente di appartenere, rivendicando gradualmente una propria indipendenza, alla fine libera e in moto perpetuo nel mondo. E l’ultima inquadratura sul suo volto ricorda la fine di Sunset di László Nemes, due donne divenute padrone della propria identità e il mondo, il futuro davanti.
Capri-Revolution [Italia, 2018] REGIA Mario Martone.
CAST Marianna Fontana, Antonio Folletto, Eduardo Scarpetta, Reinout Sholten van Ashat.
SCENEGGIATURA Mario Martone, Ippolita di Majo. FOTOGRAFIA Michele D’Attanasio. MUSICHE Apparat.
Drammatico, durata 122 minuti.