Cinema multiplo, cinema coerente
Faccio fatica a ricordare un film degli ultimi anni in cui i piani narrativi siano più sfacciatamente esposti e dichiarati che in La donna dello scrittore. In generale è ben difficile svelare, dichiarare, giocare con le carte del tutto scoperte e mantenere alti l’interesse e l’intrigo.
Guardare Petzold che vi riesce è uno dei piaceri del film. Oltre ad una trama solida e a personaggi ben individualizzati, La donna dello scrittore è bel cinema, non solo intrattenimento ma pienezza di significato, grazie ad una forma non fine a se stessa.
Possiamo contare almeno cinque piani narrativi: la vicenda storica di ebrei e intellettuali dissidenti in fuga dalla Germania nazista, la vicenda apparente del protagonista, Georg, tra povertà e amore a Marsiglia, il paragone con l’Europa contemporanea e le attuali rotte migratorie, il racconto fuori campo da parte di una voce che fino all’ultima sequenza non riusciamo ad identificare e, infine, la vicenda reale, sottesa a tutte le altre e per esse illuminante, del protagonista senza travestimenti: un trafficante di uomini truffaldino. Georg infatti è un uomo abile nei rapporti interpersonali, dotato di empatia, di ascolto, di spirito di osservazione, sta tra i disperati in fuga come uno sciacallo in attesa della prossima già debolissima preda. In cambio di soldi offre affetti, in cambio di copertura offre consolanti bugie. Ma per uomini e donne che hanno rotto vincoli e hanno perso il passato niente è meglio di un volto, di un abbraccio, di una presenza che blandisca, anche temporaneamente, la solitudine. Il titolo originale, Transit, vuole sottolineare proprio questa dimensione transitoria, priva di collocazione geografica e linguistica – nel film si parla tedesco, francese, spagnolo e anche nella lingua dei segni – in cui anche le responsabilità sono più leggere, i sentimenti sono “a termine” e conoscersi è aggrapparsi a qualcosa per non scivolare.
L’intreccio, con tale mole di significati – e quanti ancora necessiterebbero una seconda visione! –, potrebbe essere ben caotico, invece il puzzle coincide ovunque, senza sbavature o tasselli laschi. Merito di una costruzione priva di retorica e di sequenze che valgono doppio e raccontano contemporaneamente più storie con coerenza e vividezza, senza inciampo. E anche merito di una visione davvero sentita del tema: Petzold e collaboratori vanno al nocciolo, non è un film storico, non è film sull’antisemitismo, non è un film politico sui flussi migratori, non è un’agiografia dell’incolpevole, del emigrante martirizzato dalla storia, ma è tutto questo, come un’intersezione tra topos cinematografici depurati del superfluo. La donna dello scrittore è cinema sull’uomo privo di riferimenti, in mutamento e adattamento costante, che, presa coscienza del tempus transit, osserva ciò che resta.
La donna dello scrittore [Transit, Germania/Francia 2018] REGIA Christian Petzold.
CAST Franz Rogowski, Paula Beer, Godehard Giese, Maryam Zaree.
SCENEGGIATURA Christian Petzold. FOTOGRAFIA Hans Fromm. MUSICHE Stefan Will.
Drammatico, durata 101 minuti.