Nella buona e nella cattiva sorte. Finché morte non ci separi?
Catapultato in pieno svolgimento della storia, lo spettatore si ritrova schiacciato tra il sedile posteriore e quello del passeggero dell’auto guidata da un Russell Crowe altrettanto catapultato e schiacciato in una realtà che pare insostenibile, mentre ogni tanto si gira verso qualcuno che geme in fin di vita.
Tre anni prima sua moglie è stata arrestata. Gli agenti speciali hanno fatto irruzione in casa, l’hanno schiacciata contro il muro, hanno bloccato il marito ed ignorato il bimbo in lacrime sul seggiolone. Lei stava pulendo una macchia di sangue sul soprabito e non sembrava esserne sorpresa. Ellissi.
Tre mesi prima la richiesta d’appello è stata respinta. L’avvocato ormai considera la causa persa. Il figlioletto al primo giorno di scuola fa a botte con un compagno che ha insultato la madre galeotta, la quale nel frattempo tenta il suicidio.
Cosa può fare un marito che vede la propria famiglia allontanarsi per sempre da una serena riunione? Può far evadere la moglie? Può giocarsi tutto quel niente che gli rimane, può farsi pestare e derubare mentre cerca di istruirsi su documenti falsi, chiavi universali e circuiti di videosorveglianza? Sì, può farla evadere! Non ha nemmeno importanza se l’accusa di omicidio sia o meno fondata, lui non ha mai dubitato dell’innocenza della donna che ama, perché non conta quale sia la verità, non conta se si debba combattere contro giganti o contro mulini a vento come Don Chisciotte, contano la determinazione, la forza e la convinzione che si hanno nel combattere.
È la lettera di imminente trasferimento che fa scattare il piano: rimangono solo I prossimi tre giorni.
Questo il nuovo film di Paul Haggis, riscrittura del film francese Pour Elle del 2008, dove convergono tensione, suspance e sentimenti. La regia è serrata nei tempi e nelle emozioni, ma non per questo poco profonde o poco coinvolgenti: il silente addio ai genitori in un egoistico rimpallo tra marito/padre/figlio è un chiaro punto di svolta da cui non si torna più indietro. Diventa questione di vita o di morte in cui 35 minuti non bastano, nonostante gli avvertimenti dell’ex galeotto pluri-evaso Liam Neeson, relegato ad una comparsata di rilevanza inversamente proporzionale alla sua durata.
Non sveleremo chi sia il moribondo sul sedile posteriore, perché è un incipit in medias res e non a ciclo conclusivo, così come non sveleremo se i fuggitivi riescono nel loro intento, perché sarebbe un peccato rovinare la crescente attesa di un finale che stenta ad arrivare ma che (purtroppo?) chiarisce ogni dubbio: ce n’eravamo dimenticati, ma si parlava di omicidio!