Tra il bene e il male
“Probabilmente niente ha senso ai tuoi occhi americani”. Occhi ciechi, abituati a un ordine della legalità che traccia linee nette di separazione tra il bene e il male. Occhi inconsapevoli, forzati ad osservare realtà che cancellano quelle linee, le dissolvono in zone di confine, dove la violenza e la ferocia inficiano il valore assoluto della verità.
La minaccia sembra aver attecchito nel cuore degli Stati Uniti – sconcertante rivelazione nella sequenza iniziale ambientata in una cittadina dell’Arizona – ma il seme del Male ha origini che vanno ricercate oltre i confini nazionali. Per l’esattezza, in Messico. Dove il sistema di abusi, soldi e illegalità si traduce in attività stratificate e controllate dai cartelli della droga. Un traffico in crescita, che i livelli alti della CIA non sono più disposti a tollerare. Tempo di riportare le cose a un ordine più controllabile, gestibile dentro quelle relazioni di potere che mantengono gerarchie predefinite. L’arrivo della task force costituita dagli agenti della CIA nella città di Juarez in Messico è una scena che condensa ed esprime tutta la tensione della nuova opera di Villeneuve: minuscoli soggetti in movimento penetrano un territorio immenso, affollato come un formicaio, marchiato da una brutalità usata come arma di controllo. Essere su suolo messicano significa trovarsi in un campo di battaglia; che si tratti di vie pubbliche o autostrade, pieno giorno o notte inoltrata, il tempo e lo spazio della quotidianità sono segnati da agguati e scontri a fuoco, rimbombi di spari che annunciano la morte di amici o familiari, carcasse mutilate di esseri ormai privi di individualità. Soprattutto, significa parlare un linguaggio della violenza che devia da ogni forma reale di legalità: non esiste altra regola all’infuori dell’utilitaristico “il fine giustifica i mezzi”. Dà tutti i suoi personaggi in pasto al caos, Villeneuve, come già aveva fatto in Prisoners: tra conflitti interni alla squadra, drammi interiori, desideri personali di vendetta e successo, tentativi estremi di sopravvivenza, il film si sviluppa come potente metafora di un’inevitabile discesa nell’inferno della presa di coscienza, un luogo simbolico in cui la perdita di senso e giustizia si fa progressiva perdita del senso di sé. Un film, Sicario, capace non solo di farsi guardare, ma sentire, percepire, anche grazie alla bellissima colonna sonora di Jóhann Jóhannsson, che conferisce il giusto ritmo alle scene e alimenta la suspense in lunghi crescendo, con climax sempre “ritardati”. Gli occhi idealisti della protagonista sono quelli Emily Blunt, volto e anima di un personaggio smarrito e in bilico, determinato eppure fragile. Quelli dolenti e disincantati appartengono a Benicio Del Toro, qui semplicemente straordinario.
Sicario [id., USA 2015] REGIA Denis Villeneuve.
CAST Emily Blunt, Benicio Del Toro, Josh Brolin, Victor Garber, Maximiliano Hernández.
SCENEGGIATURA Taylor Sheridan. FOTOGRAFIA Roger Deakins. MUSICHE Jóhann Jóhannsson.
Azione/Spionaggio/Drammatico, durata 121 minuti.