L’assedio
Con Avengers: Endgame finisce un ciclo. È scontato dirlo, ma è anche necessario ricordarlo. Un ciclo roboante, come mai se ne erano visti sul grande schermo. Un ciclo composto da più di venti film che hanno interagito sapientemente e che ci hanno fatto pian piano comprendere (volenti o nolenti) di cosa potesse parlare e fino a che punto potesse spingersi questo Marvel Cinematic Universe.
Un mondo parallelo a quello delle misere esistenze di tutti i giorni che ha accompagnato l’espandersi dei nostri immaginari per quasi undici anni, che ha accostato parallelamente la vita di ogni spettatore e, con forza inaudita, ha alimentato la passione cinefila che è dentro ognuno di noi (nessuno escluso). Un’operazione incredibile, straordinaria, che ci ha fatto piangere, odiare, disperarci, sorridere. Che ci ha fatto vivere la sala come da tempo non la si viveva più. Sembra un preambolo patetico, questo, ma non posso fare a meno di ribadirlo, non posso fare a meno di sottolineare come i Marvel Studios abbiano centrato il punto della questione: abbiamo (ancora) bisogno di (super)eroi. E questo tassello, questo ultimo frammento – questa fine-dei-giochi – sta lì a confermarci che un universo di finzioni, costruito su icone che hanno un’etica e un’estetica chiare e coerenti, è ciò a cui aneliamo senza mai ammetterlo, è una specie di grande ritorno del represso che ci condiziona e ci spinge a trasformarne le sue formalità (e cioè tutto quello che dovrebbe semplicemente parlarci di quella parte di noi che ci affligge e ci deprime) in sogni.
Un capitolo finale dunque in cui accade di tutto: viaggi nel tempo (con incoerenze annesse sui vari piani di realtà, ma alla fine che ci importa?), sacrifici inattesi (la morte di alcuni personaggi era telefonata, ma la scommessa era su quali avrebbero lasciato definitivamente il campo), atti di volontà sbalorditivi (come interpretare Capitan America che riesce quasi magicamente a sollevare il martello di Thor?) e dunque uno strano e amaro “e vissero tutti felici e contenti”. E poi ancora l’importanza della memoria, l’ecologismo razionale e non “istintivo”, un futuro migliore che non c’è, ma che – con la speranza di chi resta sempre unito – si farà.
Mircea Eliade studiava i miti, cercando di far comprendere come buona parte delle azioni umane si rifacesse a una serie di antichi archetipi simbolici impressi nella coscienza collettiva. C’era un ragionamento sottile per il quale cercava di indagare sull’idea che gli uomini hanno di loro stessi e del posto che occupano nel cosmo. Ecco, se volessimo dare una immediata interpretazione a questo lungo percorso, conclusosi con Avengers: Endgame, potrebbe essere questa: il Marvel Cinematic Universe non è altro che il bisogno del cinema hollywoodiano di interrogarsi nuovamente sul perché, in questo nostro cosmo, ci sia sempre qualcuno che assedia e qualcun altro che viene assediato. E il voto (solo per questa volta) va a tutta l’infinita e bellissima epopea che ne è scaturita.
Avengers: Endgame [id., USA 2019] REGIA Anthony Russo, Joe Russo.
CAST Robert Downey Jr., Chris Evans, Mark Ruffalo, Chris Hemswort, Scarlett Johansson, Jeremy Renner, Don Cheadle, Paul Rudd, Brie Larson, Karen Gillan, Danai Gurira, Benedict Wong, Jon Favreau, Gwyneth Paltrow, Josh Brolin.
SCENEGGIATURA Christopher Markus, Stephen McFeely. FOTOGRAFIA Trent Opaloch. MUSICHE Alan Silvestri.
Azione/Fantascienza, durata 182 minuti.