A PROPOSITO DEL REMAKE…
Memorie totali
Nell’ormai lontano 1990 un bambino di 7 anni – rigorosamente accompagnato dai genitori – varca coscientemente per la prima volta la soglia di un cinema. Convinto di annoiarsi a morte porta con sé due numeri di Topolino, che crede – beata innocenza! – di poter amabilmente sfogliare mentre i “grandi” sono impegnati in un’attività di cui lui misconosce l’utilità.
Superato lo scetticismo iniziale (e accettata suo malgrado l’evidenza dell’assioma “al buio non si può leggere”) ciò che proverà sarà un’esperienza sconvolgente, ben oltre i confini di ciò che lui ha fino a quel momento inteso come “realtà”. Sullo schermo, abnorme e luminosissimo, prende forma la storia di un uomo ossessionato dal desiderio di visitare Marte, che per realizzare il proprio sogno si rivolge ad un’agenzia di “turismo mentale”. Nella grandiosità di azione, scenografia ed effetti speciali, la fantasia del piccolo neofita si concentra soprattutto sulle sbalorditive mutazioni fisiche degli abitanti del pianeta rosso: il corpo umano che si deforma per asfissia e decompressione, nella mancanza di ossigeno; il triplice seno di una prostituta, nel quartiere a luci rosse; la grottesca presenza scenica di un umanoide con poteri telepatici, congiunto nel ventre di un altro uomo. Immerso in una totale e irreversibile sospensione d’incredulità il ragazzino si alzerà e – fra le risate della platea – mimerà sia vocalmente che fisicamente gli spari di una mitragliatrice, durante una scena particolarmente movimentata. Al di là dell’aneddoto personale, il cui protagonista è ovviamente chi scrive, è innegabile che Atto di forza sia una delle migliori pellicole tratte dalla penna di Philip K. Dick. Tralasciando il capo d’opera Blade Runner, il film diretto da Paul Verhoeven risulta vincente ed efficace in virtù del suo sublime cortocircuito artistico: da un lato un raffinato e affascinante racconto postmodernista-cyberpunk-avantpop, dall’altro l’epopea anni ’80/’90 del “cinema del corpo”, ben rappresentata dallo scultoreo Arnold Schwarzenegger. La vertiginosa struttura a scatole cinesi orchestrata ad hoc dall’abile artigiano Verhoeven semplifica il portato filosofico-sociologico dickiano, ma non ne snatura l’indagine, imperniata sull’ambiguità fra realtà e apparenza. Se è vero che, come affermava lo stesso Dick, tutta l’esistenza è attraversata dalle due domande fondamentali “che cosa è reale?” e “che cosa è umano?”, il film riesce appieno a trasmettere (seppur giocosamente) l’ambiguità di fondo di questi due quesiti. Ma, più di tutto, centra l’imperativo morale che dovrebbe perseguire tutto il cinema di fantascienza: far dimenticare allo spettatore il mondo reale, concedendogli per un paio d’ore di scrutare con occhio vergine un nuovo possibile universo (per quanto assurdo esso sia). Come quel bambino di 7 anni che per dieci secondi ha creduto di essere sul suolo marziano, in lotta contro oscure forze nemiche.
Atto di forza [Total Recall, USA 1990] REGIA Paul Verhoeven.
CAST Arnold Schwarzenegger, Rachel Ticotin, Sharon Stone, Ronny Cox.
SCENEGGIATURA Ronald Shusett, Dan O’Bannon, Jon Povill, Gary Goldman (tratta dal racconto Ricordiamo per voi di Philip K. Dick). FOTOGRAFIA Jost Vacano. MUSICHE Jerry Goldsmith, Bruno Louchouam.
Fantascienza, durata 109 minuti.