L’inutilità fatta a pellicola
Forse troppo compiaciuta della sua attività di scrittrice, Cristina Comencini (da non confondere con la sorella Francesca) decide nuovamente di portare sul grande schermo una storia tratta da un suo romanzo, come già aveva fatto per La bestia nel cuore nel 2005.
Non contenta ripropone lo schema affrontando un altro argomento delicato e difficile, dopo le violenze in famiglia nel precedente film, oggi parla di depressione post parto e delle difficoltà che ogni donna affronta nella delicata fase di trasformazione in madre. E nuovamente affronta queste tematiche “scottanti” con una superficialità e indelicatezza disarmanti e in alcuni momenti irritanti. Il tutto senza mai dimenticare di inserire luoghi comuni presi da qualche chiacchierata, intellettualmente poco stimolante, in qualche bar di provincia. Perché portare sul grande schermo i sentimenti oscuri, e inspiegabili per chi li osserva dall’esterno, che logorano quelle madri costrette a fare i conti con una depressione scatenata da quello che, a detta di tutti, dovrebbe essere la gioia per eccellenza, è qualcosa di difficile e per nulla scontato. E la storia d’amore tra Pandolfi e Timi, protratta nel tempo e aspettata per quindici anni, raccontata con scene e dialoghi da soap opera argentina (o dalla sua parodia), non aiuta per niente. Non aiutano neanche quei pochi virtuosismi registici che ripetuti ad oltranza, e immotivatamente, finiscono per disturbare lo spettatore in sala, come ad esempio la visione sfocata quando il protagonista maschile non indossa gli occhiali, un particolare inutile. Lascia sbigottiti il racconto della violenza che la protagonista Marina perpetra nei confronti del piccolo Marco, lascia allibiti come tutti aiutino lei, e qui si percepisce una velata critica verso le istituzioni e i mariti poco attenti, senza preoccuparsi di questo figlio tanto amato e odiato, amore unico nella vita della madre ma al contempo ostacolo per la sua gioia di vivere. Lasciano insofferenti anche le metafore per immagini che risultano scontate ed ovvie, ripercorrendo la strada verso il paesino di montagna dove si svolge la storia, quindici anni dopo, i ricordi riaffiorano in Marina all’entrata di un tunnel, lo stesso in cui era, metaforicamente, finita lei dopo il parto. Ovvia associazione per immagini. Forse l’unico motivo per cui ci ricorderemo di questo film sarà per il molto rumore, e finto scalpore, che le risate e i fischi che lo accolsero a Venezia suscitarono.