Gli spazi del piacere
I Manetti Bros. sono tra i pochi nel nostro Paese, unici se consideriamo la grande distribuzione, ad assecondare i propri piaceri cinematografici producendo pellicole in cui alla base creativa e realizzativa ci sia un forte senso ludico che dona all’intero progetto una libertà ormai inedita all’interno del nostro cinema.
Appare quindi chiara la riproposizione di quel cinema di genere italiano anni ’70, scevro da vincoli, e che in questi anni sta ricevendo una rivalutazione dal sapore mitico, nonché essere viatico principale per attirare l’attenzione statunitense per la riproposizione, in versione remake, di nuovi progetti.
Il senso ludico della pellicola dei Manetti è percepibile fin dai suoi aspetti anagrafici, come la semplicità del titolo, Paura 3D, e l’apparente esilità della trama, ma è soprattutto con l’implementazione dell’effetto stereoscopico che mostra quanto la realizzazione del film sia stata dettata dal gusto citazionistico per il linguaggio classico del genere, nonché per la possibilità di rimodellarlo. Sono proprio gli spazi della claustrofobica villa, in cui i tre protagonisti sono capitati, che mostrano l’impiego felice della tecnologia tridimensionale, soprattutto per l’elevato senso di profondità regalato negli spazi chiusi e stretti, aumentando il senso ansiogeno, e nella riproposizione di inquadrature abusate all’interno dell’horror, ma che qui ricevono nuova linfa tanto da far dimenticare il loro statuto di cliché visivi.
Accanto a questi dettagli tecnici, interessante è proprio il lavoro sulle cesure spaziali della villa, dove i piaceri sono equamente divisi tra la superficie e il sotterraneo. Se ai tre ragazzi al centro della vicenda l’interesse è dato dalla possibilità di possedere per un intero weekend una villa e svaghi che mai più rivedranno nella vita, e abusarne come non ci fosse un domani cui rispondere come nel paese dei balocchi. Il marchese (la cui vaghezza del nome è dato il significato), proprietario della villa, costretto a rincasare prematuramente facendo saltare i piani ai giovani, è invece il principio di piacere dato dal possesso sessuale e mentale della persona, dal controllo fisico e psicologico che può manifestare nei suoi sotterranei.
Se all’interno della pellicola possiamo trovare tre macrospazi, individuabili dall’uso di linguaggi cinematografici contrapposti capaci di connotarli immediatamente, è quello centrale, che unisce la superficie con il sotterraneo, segnato da inquadrature mai in asse, a diventare la vera causa ansiogena all’interno della pellicola. Perché un altro aspetto apprezzabile di Paura 3D è il fatto, cinematograficamente più sano, di non puntare mai sul semplice spavento, scorciatoia oggi sempre più abusata per fregiarsi di titolo horror, ma al contrario costruendo false piste giocando sulle aspettative dello spettatore per poi tradirle così da accrescere la tensione. Risultato apprezzabile per una pellicola piacevolmente riuscita.
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