Cosmologia ibrida
Anno di viaggio 2104. L’equipaggio del vascello di esplorazione USCSS Covenant è in stato di ipersonno insieme agli oltre 2000 coloni che aspettano di atterrare sul pianeta Origae-6. Dopo un’improvvisa tempesta stellare la missione prosegue su un pianeta sconosciuto con caratteristiche fisiche idonee alla colonizzazione umana.
La coscienza del fan si sveglia con i titoli di testa in lenta costruzione nello spazio ostile come nel capolavoro del 1979, ma è con il dialogo tra l’androide David e il suo creatore Peter Weyland che Ridley Scott svela il nuovo corso della saga: un’amalgama tra la deriva creazionistica di Prometheus e la fantascienza claustrofobica innervata di orrore puro. Le due anime così diverse si saldano insieme in un organismo perfetto che si avvinghia allo spettatore come il parassita alieno sulla vittima di turno attraverso l’ormai iconica infestazione. L’interessante corpo cinematografico ibrido procede su una costruzione narrativa a scossoni, lungo la rotta percorsa da una space-opera messianica che incontra la carica defibrillante dell’horror d’atmosfera. Se però da una parte il cupo bestiario di H.R. Giger recupera l’estetica mostruosa dello xenomorfo reincarnato in un letale starbeast (tra l’altro, uno dei titoli scelti da Dan O’Bannon per il futuro Alien), dall’altra, la creatura un tempo protagonista assoluta è relegata a strumento accessorio di sterminio perché il vero villain è la macchina senziente. L’arroganza umana sedotta da una bieca volontà colonizzatrice e la smania prometeica degli organismi sintetici producono mostri, non è più il sonno della ragione a generarli. L’eterno scontro tra hybris e nemesis si risolve così in un passaggio di consegne da una cosmologia all’altra attraverso nuovi spazi fisici da conquistare: dagli angusti cunicoli della Nostromo e della nave scientifica Prometheus agli orizzonti infiniti della colonizzazione interstellare, dalla (all’epoca) rivoluzionaria sci-fi di fine anni Settanta alla scoperta di (vecchi) paradigmi filosofici ancora da metabolizzare. Questa la direzione scelta dal nuovo canone di Scott che si rivela essere perfettamente in linea con il nuovo approccio evoluzionistico della fantascienza barocca e meditativa (e dello stesso cinema serializzato del quale Alien: Covenant diventa metafora vivente). Il nuovo prometeo unbound è dunque un organismo sintetico che confonde Percy Shelley con Byron, giocando a mescolare dna divini e codici genetici aberranti. Alien: Covenant, viaggio maledetto nei meandri oscuri della (co)scienza e della tecnica, è l’isola del dottor Moreau che incontra Frankenstein, e quel “cuore di tenebra” conradiano all’origine di tutti i colonialismi umani e alieni.
Alien: Covenant [Id., USA 2017] REGIA Ridley Scott.
CAST Michael Fassbender, Katherine Waterstone, Billy Crudup, Danny McBride, Demian Bichir. SCENEGGIATURA John Logan, Dante Harper. FOTOGRAFIA Dariusz Wolski. MUSICHE Jed Kurzel.
Fantascienza/Thriller/Horror, durata 122 minuti.