Quel che non ti aspetti
7 minuti è un film che richiede immedesimazione o non può funzionare. Immaginatevi allora operaie ed operai tessili e immaginate che la fabbrica da cui prendete “due soldi di speranza” per tirare avanti la vostra famiglia stia per chiudere e che per mesi vi lascino vivere col sospetto di una crisi imminente, finché si sparge la voce di una fusione con un’azienda estera, un grande nome del settore.
Il giorno in cui viene discusso il nuovo contratto la rassegnazione sui volti delle persone con cui lavorate da anni è ben visibile, nessuno spera in una buona notizia: c’è chi già pensa a come scioperare, chi a come opporsi alle palesi ingiustizie e la rabbia si legge ovunque a fil di pelle. Infine quello che chiedono i nuovi amministratori sono sette minuti in meno di pausa pranzo: questa l’unica clausola a svantaggio delle dipendenti. Cosa sono sette minuti in più al giorno a fronte di un probabile licenziamento? Chiunque firmerebbe senza pensarci più di sette minuti! Chi pensava a come protestare ora si occupa di come festeggiare al meglio, avverte subito parenti e amici e i sospiri di sollievo si mescolano alle grida di gioia. Ma è davvero così facile accettare, piegarsi, rinunciare? Quanto siamo disposti a giocarci nella bilancia dei compromessi? Michele Placido, riadattando un testo teatrale di Stefano Massini, sceglie di toccare, come spesso ha fatto nella sua carriera da regista, dal primo Pummarò (1990) all’ultimo La scelta (2015), un nervo scoperto dell’attualità sociale, tastando e testando reazioni e motivazioni, ipotizzando cause e conseguenze, facendo di ogni film una disamina non esaustiva ma sempre intelligente di una questione aperta. Non c’è pretesa di fare nulla di nuovo, né nella forma che riprende l’ipercitato La parola ai giurati di Lumet, né nel contenuto che ricalca la sceneggiatura teatrale e si muove in contesti già visti al cinema. Ma l’obiettivo di Placido sembra stare tutto nel dare vivezza ai personaggi: ed ecco undici donne che sono figure vibranti, ritratte in rilievo, con gesti colti nell’attimo decisivo a sopravvivere, nell’acme espressivo, con battute piene di colore come fossero pennellate dense, pastose e variegate, intrecciate in schermaglie luminosissime come fari proiettati sulle vite “minori” di donne semplici. Si guardi alla differente rappresentazione della donna di successo, l’amministratrice dell’azienda francese acquirente, e le donne operaie fuori la fabbrica, si guardi a come il velo di eleganza cada di fronte alla schietta impulsività, si guardi a quanto i principi e le necessità abbiano per ciascuna volti e risvolti ben differenti, si guardi a ciò che è dentro e fuori la fabbrica, a ciò che è dentro e fuori le stanze in cui ci sono le due riunioni, a ciò che quei vetri e quelle pareti rappresentano. Lo si guardi bene questo 7 minuti e si resterà sorpresi e con gusto.
7 minuti [Italia 2016] REGIA Michele Placido.
CAST Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Violante Placido, Ottavia Piccolo.
SCENEGGIATURA Stefano Massini, Michele Placido. FOTOGRAFIA Arnaldo Catinari. MUSICHE Paolo Buonvino.
Drammatico, durata 88 minuti.