Dal buio all’oceano
Raccontare due solitudini e una storia d’amore e contemporaneamente calarla profondamente nella realtà che l’ha originata: Angèle e Tony, primo lungometraggio della ex giornalista Alix Delaporte, riesce in questa non semplice prova.
Angèle è appena uscita di prigione, non ha una casa, mente con regolarità ed è abituata ad usare il proprio corpo come merce di scambio, perché ritiene che sia tutto ciò che ha da offrire; ha bisogno di un matrimonio per riavere la custodia del figlio, e incontra, per mezzo di un annuncio, il pescatore Tony, meno bello e dannato ma altrettanto solo, afflitto da problemi di natura più pratica. All’iniziale rifiuto di lui, lei lo insegue ostinatamente, quasi aggressiva: perché un uomo non esattamente piacente come lui dovrebbe rifuggire le attenzioni di una ragazza bella e giovane come lei? In queste poche azioni sono già perfettamente delineati i caratteri dei due protagonisti; progressivamente Tony le insegnerà un po’ di umiltà e di fiducia nel prossimo, e imparerà da lei la potenza della voglia di vivere.
La macchina da presa insiste sui volti e sui corpi a rintracciarne le emozioni che cambiano e maturano (dalla prima scena dell’incontro al bar, alle corse in bici di Angèle). Gli sguardi volano spesso oltre il quadro, rendendo pregnante il fuoricampo, che rimanda al non detto tra i protagonisti, e tra loro e lo spettatore: non ci viene mai spiegato cosa è veramente successo ad Angèle, solo qualche accenno alla sua terribile colpa che ha determinato la separazione dal figlio Yohan.
Fa da contorno la Normandia dei pescatori, con la loro routine e il loro forte senso comunitario: le lotte sindacali, i quotidiani tafferugli con la polizia, il fondamentale ruolo delle donne che, dai banchi del pesce ai tavoli su cui comporre fiori di carta per addobbare le barche, sono il vero nodo che tiene legati gli uomini del mare alla terraferma; Angèle trova la loro taciturna solidarietà, una sorta di riscatto dal rapporto ormai rovinato con la suocera.
Un’opera prima che è un esempio di equilibrio, per il suo posizionarsi sul filo del dramma senza farlo deflagrare, lasciando che le anime rotte dei protagonisti si ricuciano a vicenda al ritmo del vento dell’oceano.