L’estetica che imprigiona
Per Piero Messina la resa dell’immagine e lo studio dell’inquadratura hanno nel cinema un’importanza fondamentale. Un concetto che il regista ha già dichiarato e che caratterizza fortemente il suo primo lungometraggio: L’attesa, presentato in concorso alla 72a Mostra del Cinema di Venezia. L’opera è, infatti, visivamente curata in ogni minimo dettaglio, in quello che è un elemento di per sé pregevole, ma che in questo caso si trasforma, paradossalmente, in un limite.
Qui la protagonista è Anna, una donna in lutto per la recente scomparsa del figlio Giuseppe. Quando la fidanzata di quest’ultimo, Jeanne, decide di recarsi nella loro tenuta in Sicilia ignara dell’accaduto, Anna non ha il coraggio di svelarle la verità. L’opera proseguirà raccontando il rapporto particolare e pieno di sfumature psicologiche che s’instaura tra le due protagoniste: entrambe “usano” l’altra per colmare un vuoto (di un lutto o di un’attesa) e per scoprire qualcosa in più su Giuseppe e su se stesse. Questo in quanto l’una è lo specchio dell’altra, ma anche perché sono entrambe il riflesso (sanguigno o generazionale) del ragazzo defunto. Ed è appunto per tali motivi che non possono mai essere completamente sincere né mentirsi spudoratamente: sono amiche, rivali, ma in qualche modo anche madre e figlia. È anche attraverso tale snodo narrativo, decisamente il più interessante del copione, che l’autore riesce ad affrontare le problematiche centrali dell’opera, quali il dolore e la difficoltà di accettare una perdita. Un punto narrativo interessante che si sviluppa con una certa incisività e per poco tempo solo nella seconda parte del film che, infatti, all’inizio fa fatica a decollare, soprattutto a causa di una cura formale a tratti eccessiva e fine a se stessa. Evidentemente, Messina intende coniugare la massima ricerca estetica alla massima profondità tematica, purtroppo senza riuscirci. Ciò perché vi sono diversi momenti in cui tutto sembra essere sacrificato al puro estetismo: le inquadrature particolari e le riprese studiate nei minimi dettagli hanno spesso la massima priorità rispetto al racconto e alla descrizione delle protagoniste. Il risultato è talvolta efficace sotto il profilo strettamente visivo, ma molte immagini (per esempio quelle dell’aeroporto) sono poco motivate ai fini della narrazione e del significato. Ed è anche per questo che la cura estetica non rafforza il film, ma lo rallenta, lo indebolisce e lo soffoca, soprattutto nei suoi aspetti più postivi. Ciò, unito a un finale didascalico e non necessario, rende L’attesa un film complessivamente poco riuscito, imprigionato da un formalismo quasi mai controllato. E per un’opera dalle buone potenzialità è un vero peccato.
L’attesa [Id., Italia/Francia 2015] REGIA Piero Messina.
CAST Juliette Binoche, Lou de Laâge, Giorgio Colangeli, Domenico Diele.
SCENEGGIATURA Giacomo Bendotti, Ilaria Macchia, Andrea Paolo Massara, Piero Messina. FOTOGRAFIA Francesco Di Giacomo. MUSICHE Alma Napolitano, Marco Mangari Piero Messina.
Drammatico, durata 100 minuti.
Un film bellissimo ed emozionante
fischi ingenerosi a Venezia. Ok, può non piacere, ma fischiarlo addirittura. Per me resta emozionante e bello
Ai festival le reazioni sono spesso eccessive, sia quando sono negative che quando sono positive. Secondo me il film di Messina non vale né grandi fischi né lunghi applausi.
Non concordo con la recensione. Mi è sembrato un film molto interessante, con i suoi difetti, vero, ma penso si debba tener conto che si tratta di un regista esordiente. A volte lo stile è un po’ troppo ridondante, come notavi tu, e la messa in quadro, per quanto perfetta, rimane fine a se stessa. Ma finalemnte un regista italiano giovane che non ha paura di esordire con un film dallo stile molto personale e che cerca, attraverso la composizione dell’inquadratura, di raccontare i suoi personaggi mettendo in secondo piano le parole (non ha bisogno di voci fuori campo alla Sorrentino per spiegare quello che accade in scena). L’abbraccio finale senza parole tra le due protagoniste non l’ho trovato didascalico, c’è tutta la storia condensata. Di Piero Messina ne sentiremo parlare ancora.
Sicuramente Messina ha del potenziale, ma a mio parere deve ancora saperlo indirizzare, controllando di più il suo estetismo. Secondo me, in “L’attesa” non è riuscito a farlo, vedremo nei film successivi.
Quando ho parlato di finale didascalico non intendevo tanto e solo l’ultima scena, ma anche e soprattutto la sequenza del bagno e quella della fiaccolata. In effetti, è una cosa che avrei dovuto precisare, anche se le due sequenze si svolgono nell’ultima parte del film.
Che la scena della fiaccolata sia un po’ didascalica concordo.
D’accordo con te Frances, un notevole esordio.
Credo sia una coraggiosa manifestazione della propria identità registica. Merita più di un incoraggiamento secondo me
Sono del tutto d’accordo con la recensione: è vero che Messina dimostra di avere i numeri per poter diventare un buon/ottimo regista, ma è ancor più vero che questo film è vuoto ed esteticamente fine a se stesso.
Mah definirlo film vuoto mi sembra veramente fuori luogo. Non è un film per tutti (i gusti) questo sì, per fortuna.
“Vuoto” effettivamente è eccessivo, chiedo scusa. Intendevo dire che dietro l’estetica e l’eleganza riesce a trasmettere ben poco; già il fatto che non riesca a trasmettere il “dolore” mi sembra una pecca abbastanza importante. Poi, è vero che non essere un film per tutti spesso è stato un pregio, ma non è una regola matematica che sia sempre così.
Non è un film plateale, non cerca la commozione a tutti i costi, evita scene madri e qualunque tipo di retorica nel raccontare una tragedia come la perdita di un figlio, un argomento arduo da affrontare con il tono giusto (ammesso che esista). Il dolore è un dolore trattenuto che riesce invece a trasmettere benissimo a mio parere proprio perchè la sofferenza viene condensata in un abbraccio, in uno sguardo, in una stanza vuota, in una madre che è incapace di affrontare questo dolore e infatti lo nega, fingendo che il figlio tornerà. L’attesa è anche quella, non metaforica, della consapevolezza del lutto, presente ma in un certo senso rimosso. Per me il film racconta di un dolore presente e tangibile in ogni scena, ma che la protagonista fa di tutto per nascondere e respingere. Quindi appare nei dettagli, nell’atmosfera, ed è proprio per questo che è un film interessante.