Aforisi
Affascinante e complessa è la figura di Simone Weil, filosofa e attivista politica: di origini ebraiche, è poi attratta dal cattolicesimo, in particolare dalle sue correnti più spirituali e mistiche.
Nel 1941, dopo essere stata cacciata dall’università dove insegnava, si rifugia nella fattoria di Gustave Thibon. Qui segue una vita spartana, di privazioni, per essere più vicina alle condizioni dei braccianti e perché, con le mortificazioni del corpo, voleva trasportare su di sé quello che subiva il mondo in guerra. Anche Thibon è un intellettuale, un filosofo (verrà chiamato il “filosofo contadino”), il quale uscirà arricchito dal confronto con la sua ospite, tanto da pubblicare nel 1948 L’ombra e la grazia, raccolta delle riflessioni contenute nei diari della filosofa, morta nel 1943.
Il film di Emanuela Piovano racconta proprio il periodo passato dalla Weil nella fattoria di Thibon, i sacrifici a cui obbligava il corpo – esaltato nella sua visione mistica proprio nell’ottica della privazione –, la sua curiosità e la volontà di avere un rapporto diretto con la natura, l’amicizia sempre più profonda, quasi una storia d’amore mancata, con Thibon, e i momenti di sconforto nell’accorgersi che, in campagna, lontana dal buio della storia, “il pensiero non riesce a diventare azione”.
Per raccontare tutto questo, e soprattutto per rendere centrali e affascinanti le riflessioni e la figura della filosofa, Piovano sceglie un tono minimalista, spezzato da momenti quasi “magici”, fiabeschi ed eterei, come, per esempio, quando la protagonista scappa dalla fattoria e sembra, nel bosco, tra le penombre dell’alba, un fantasma. La regista sceglie quindi un profilo basso e una messa in scena più che essenziale, come se fosse parallela all’integrità della Weil; solo l’ottima fotografia di Raoul Torresi, perfetta nell’evidenziare il fascino che la natura aveva sulla filosofa e nel darle una valenza mistica e magica, si permette una maggiore evidenza cinematografica, anche per dare un retrogusto “francescano” alla vicenda.
É come se si fosse affidato tutto il film alle parole e ai pensieri della Weil: scelta forse dettata dal timore reverenziale, ma un minimo di presenza cinematografica in più, che non si fosse limitata al fascino della fotografia, non avrebbe guastato. Lo spettatore è poco coinvolto, e, alla fine, sembra di trovarsi di fronte ad un bignami sulla filosofa e ad una raccolta di suoi aforismi: certamente di un qualche interesse, ma la vera passione e il vero coinvolgimento si creano in un altro modo.