Dove si possono trovare, tutti insieme, un thriller ambientato in una baraccopoli, un prison movie, un hentai giapponese in live action, un musical, una commedia nera, un biopic mitizzante, un mélo francese e un film di cannibali? Facile: nel palmares del Festival di Venezia 2016. Volendo scherzare, possiamo infatti sintetizzare così i premi che la giuria guidata da Sam Mendes ha deciso di assegnare al termine della 73a edizione della Mostra. Un gruppo di titoli che sembra non avere nulla a che fare l’uno con l’altro, anche dopo che il regista britannico ha spiegato come la giuria avesse prediletto “i film che proponevano una visione personale priva di compromessi”.
D’altra parte l’ecletticità è forse la vera spina dorsale dei grandi festival europei: non si può appiattire il programma di una manifestazione come quella veneziana su un solo genere o una precisa provenienza geografica, per quanto ci siano cinematografie storicamente poco rappresentate o poco valorizzate. Ogni anno si prova a fare pronostici su quali film la giuria potrebbe aver apprezzato maggiormente, e ogni anno ci si ritrova a pensare a quanto sia impossibile districarsi in un mare di pellicole così diverse, come anche tra le diverse personalità dei giurati.
Come accadde spesso, anche quest’anno a vincere il Leone d’Oro è stato uno degli ultimi film visti. The Woman Who Left ha però spezzato pochi cuori rispetto a quanti ne ha lasciati indifferenti. Critici e appassionati sono abituati in larga misura a un cinema ben diverso da quello di Lav Diaz, tant’è che il criticabilissimo Jackie è stato tra i più applauditi del festival, ancor più dell’imperfetto ma potente Paradise di Konchalovsky. Mai, invece, ci si sarebbe aspettati di veder premiati The Bad Batch e La región salvaje, il primo è anzi stato il film in concorso più odiato dalla critica internazionale. L’opposto dell’argentino El ciudadano ilustre, che è sembrato da subito meritevole di considerazione nonostante uno stile visivo che ha lasciato perplessi molti. E se Frantz è probabilmente il miglior film mai diretto da François Ozon, Nocturnal Animals è forse quello che ha spezzato più cuori nelle due settimane lidensi, alla faccia del sottovalutatissimo Arrival di Denis Villeneuve.
Ecco, il film di Tom Ford sembra esemplificare perfettamente la direzione in cui Alberto Barbera sta spingendo il Festival da quando è tornato a guidarlo: promuovere pellicole di autori forti ma realizzate all’interno dell’establishment. Non è un caso che gli ultimi tre Oscar per la miglior regia siano andati a film presentati al Lido. E non è escluso che con il Damien Chazelle di La La Land non si arrivi a quattro.