SPECIALE TORINO FILM FESTIVAL STORY
Stupido è chi lo stupido fa?
Josie, uomo di mezza età con difficoltà di apprendimento, è un disadattato. Vive – o meglio, sopravvive – in una cittadina rurale irlandese, dipendente in una semi-abbandonata stazione di servizio gestita da un ex-compagno di scuola. Non c’è altro per Josie: l’apertura al mattino, la pompa di benzina, le lunghe ore solitarie e infine la chiusura serale.
Entriamo nel suo piccolo e desolato mondo quando, finalmente, qualcosa cambia: da un lato c’è un’improvvisa (insignificante, inutile, ma estremamente gratificante per lui) presa di posizione, nel momento in cui decide di esporre le lattine di olio in vendita in un posto diverso dalla loro solita ubicazione; dall’altro c’è l’ingresso nella sua quotidianità di un “aiutante”, il figlio 15enne del proprietario. Fossimo in America, probabilmente il nostro protagonista sarebbe un emulo di Forrest Gump, idiot savant con davanti a sé un luminoso cammino di redenzione e sogno, rigorosamente made in Usa (per dirlo con le efficaci parole di un utente di Mymovies: “Se Josie avesse avuto la fortuna di nascere negli Stati Uniti, probabilmente avrebbe corso per migliaia di chilometri e poi sarebbe diventato ricco vendendo gamberetti”). Ma siamo in Irlanda, il cielo è plumbeo e l’atmosfera è mortifera, la laconica disillusione prende il posto della speranza (“Prendi pure una cassetta di mele, tanto sono mezze marce… come tutti noi”) e Josie per la piccola comunità in cui tutti conoscono – e odiano – tutti è semplicemente lo scemo del villaggio. Garage è il perfetto esempio di come un film, nonostante l’elogio della critica internazionale e la capillare presenza festivaliera (oltre alla vittoria al Torino Film Festival ci sono la “Quinzaine des Réalisateurs” a Cannes, Toronto, Londra e il plebisicito ottenuto agli Irish Film and Television Awards), possa comunque non godere di una degna distribuzione e diffusione. Se oggi viene ancora menzionato – a quasi dieci anni dalla sua realizzazione – è per il suo principale merito “extra-filmico”, ovvero per aver definitivamente lanciato la carriera di Lenny Abrahamson (autore nel 2014 di Frank e nel 2015 di Room, Premio Oscar per la Miglior Attrice Protagonista a Brie Larson). E del resto Garage, nel suo continuo e reiterato incedere anti-climax, nel suo finale struggente e simbolico che abbandona ogni speranza (o forse no?) non è un film “facile” da vedere: perché getta nello sconforto più totale, perché dietro alla parvenza grottesca racconta – con una lucidità che Abrahamson non è stato finora in grado di replicare – il collasso totale della comunicazione e della comprensione. Un’opera intimista che ci spinge oltre il realismo, e che nella sua attonita monotonia ferisce lo sguardo lasciando un’amara traccia di sé anche dopo i titoli di coda.
Garage [Id., Irlanda 2007] REGIA Lenny Abrahamson.
CAST Pat Shortt, Anne-Marie Duff, Conor J. Ryan, John Keogh.
SCENEGGIATURA Mark O’Halloran. FOTOGRAFIA Peter Robertson. MUSICHE Stephen Rennicks.
Drammatico, durata 85 minuti.