SPECIALE STUPEFACENTE
The sun always shines on tv
Requiem for a Dream è il film-manifesto programmatico con cui Darren Aronofsky, cantore di antieroi scissi e allucinati, dediti al martirio del corpo e dello spirito (The Wrestler, Noah), diventa un autore di culto. Opera di difficile classificazione e digestione, ha il difetto di chiedere allo spettatore un abbandono totale alla visione e ai suoni, per poterne accettare tutti gli eccessi, almeno in parte giustificati dalla storia.
L’intento principale del film è quello di procurare, con grande sfoggio di virtuosismi stilistici, un’immersione nelle sensazioni dei protagonisti, Harry, Marion e Tyron, tre giovani tossicodipendenti e Sara, la madre di uno di loro, che invece, da “tv junkie” qual è, inizia a prendere delle anfetamine per dimagrire e partecipare a un programma tv. La prima parte del film, che si svolge in estate, pone le premesse per gli sviluppi della seconda, quella invernale, in cui la deriva dei personaggi li conduce verso situazioni di grave disagio psicofisico. Nella seconda metà del film, Aronofsky non ci risparmia niente, dal dettaglio del buco nella vena livida e purulenta ai primi piani di Sara mentre subisce l’elettroshock. Un braccio amputato, un sondino nel naso per l’alimentazione forzata: in comune con il cinema invasato di Mel Gibson quello di Aronofsky ha la tendenza a enfatizzare la rappresentazione dei particolari più macabri e ributtanti, ma senza l’ironia dello splatter e del gore degli anni Ottanta, generi da cui mutua l’onnipotenza e l’ubiquità della cinepresa. Questo prendersi troppo sul serio fa di Aronofsky una sorta di moralista senza rigore estetico, considerandone gli struggimenti spirituali e religiosi. E riduce le qualità di film come Il cigno nero e Requiem for a Dream all’innegabile impatto visivo e sonoro di alcune sequenze, per la disperazione della critica contenutista più materialista. Non mi riferisco all’uso un po’ fuori luogo dello split screen o della plongée, ma alle scene più propriamente psichedeliche, in cui le musiche di Clint Mansell e del Kronos Quartet, insieme agli effetti sonori, si combinano efficacemente con le immagini accelerate e le inquadrature brevissime, in quello che il regista chiama “hip hop montage”. La luce violenta, innaturale si alterna alla scarsità di luce, nel corso del film. Soggettive spaventose e deliri lynchiani, inquadrature sghembe e grandangolari, time-lapse, steadicam e 20 kg di SnorriCam riescono con successo a restituire la sofferenza che ogni dipendenza comporta. Dunque, è per il gusto iperrealistico nella ricostruzione di stati mentali alterati che Requiem for a Dream va ricordato. Degli eventuali intenti di denuncia da pubblicità progresso poco ci interessa.
Requiem for a Dream [id., USA 2000] REGIA Darren Aronofsky.
CAST Ellen Burstyn, Jared Leto, Jennifer Connelly, Marlon Wayans.
SCENEGGIATURA Darren Aronofsky, Hubert Selby (tratta dall’omonimo romanzo di Hubert Selby). FOTOGRAFIA Matthew Libatique. MUSICHE Clint Mansell.
Drammatico, durata 102 minuti.