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La comicità dei Monty Python

sabato 27 Marzo, 2021 | di Edoardo Peretti
La comicità dei Monty Python
Speciale Comicità
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And now..
Facciamo un gioco: immaginiamo tre sketch inediti dei Monty Python. Il primo racconta di un uomo che si trasforma in uno scarafaggio, un altro ancora porta all’estremo paradosso il fatto che un signore continui a fumare la sua ultima sigaretta, il terzo, infine, narra l’effetto domino di un involontario starnuto fatto sul giaccone del capo. Funzionerebbero in una puntata dello storico Monty Python’s Flying Circus? Molto probabilmente sì, sarebbero assolutamente centrati e coerenti con la poetica del sestetto comico composto da John Cleese, Michael Palin, Eric Idle, Terry Jones, Graham Chapman e Terry Gilliam.

Questo gioco un po’ nonsense si basa su tre celebri invenzioni di racconti e romanzi del tardo ottocento (Cechov con lo starnuto fatale di Morte di un impiegato) e del primo novecento (Kafka e Svevo rispettivamente con lo scarafaggio di La metamorfosi e l’eterna ultima sigaretta di La coscienza di Zeno), tre esempi tra tanti di quando molta letteratura considerava e descriveva una realtà assurda, talvolta ridicola anche nella sua tragicità, e insondabile. Complessivamente, era come se emergesse un racconto del mondo consapevole di non poter essere davvero fino in fondo tale, anti-positivista, disincantato, inquieto e beffardo, fatalista e feroce; atmosfere e aggettivi che possiamo tranquillamente ritrovare qualche decennio dopo nel nonsense parossistico e assoluto che è la weltanschauung dei coltissimi Monty Python. 

È come se, per una di quelle influenze sotterranee che uniscono le fila di momenti, stagioni ed arti diverse, i sei avessero trovato anche nella sostanza e nel senso più profondo di quelle pagine i semi della loro rivoluzione comica. Se, d’altronde, non sempre ci si può fidare dell’apparenza delle cose e del senso e del ruolo che diamo loro, e talvolta perfino la realtà fisica lascia qualche dubbio, è possibile arrivare a immaginare quale sia il senso della vita? Domanda che forse è meglio lasciare a pesci parlanti che devono riempire il loro tempo mentre nuotano nell’acquario di un elegante ristorante.

La rivoluzione comica dei Monty Python si esprimeva innanzitutto nell’organizzazione del format televisivo. Sullo schema di base della parodia di una trasmissione o di un palinsesto, le puntate del Monty Python’s Flying Circus (1969 – 1973) erano una sorta di flusso di coscienza paradossale. L’idea di sketch tradizionale dall’impianto pulito con veri inizio e fine e dallo stile comico chiaro veniva in qualche modo negata. Le gag molto spesso non erano autoconclusive, invadendo quelle successive, ed erano prive di una classica battuta finale e netta, come a voler evitare una chiusa deflagrante e insistere sulla stasi di una situazione assurda. L’effetto comico, basato innanzitutto sullo straniamento, nasceva appunto da questa sorta di “fluidità statica” che permetteva di attuare il pastiche di stili comici e di far risaltare il nonsense come strumento per osservare e sbeffeggiare il mondo; che fosse satira più dichiarata, o un tono più demenziale, un gioco di parole o un gioco sugli stereotipi o, ancora, una più evidente parodia di qualcosa, che ci fosse la slapstick o la comicità di parola (fermo restando che, come accennato, perlopiù gli stili comici erano mischiati, convivendo nella stessa situazione), gli sketch del Flying Circus raccontavano qualcosa di clamorosamente e sfacciatamente fuori posto. La diacronia dei numerosi personaggi storici protagonisti di fatti e luoghi della contemporaneità  – l’avventura dei Monty Python inizia proprio con Mozart che presenta la rubrica sulle morti più prestigiose – è forse l’esempio più immediato. 

Che il fuori posto sia da sempre in qualche modo l’essenza del comico è pacifico, ma prima dei Monty Python raramente, almeno in tv e al cinema (semmai bisogna ancora una volta ricorrere alla letteratura, per esempio con il mondo delle meraviglie di Lewis Carroll), c’è stata una simile consapevolezza contemporaneamente narrativa, di linguaggio e di concezione del mondo, delle stonature del reale, della fallibilità delle sue letture troppo rigide e nette, e dell’assurdo come mezzo per rielaborarle e raccontarle; forse, sempre limitandoci al campo dei precedenti cinematografici, l’unico possibile riferimento è l’avanguardia dadaista di Entr’acte di René Clair. Provate, per esempio, ad immaginare il passo del ministro delle camminate sghembe al posto dei saltatori intorno al cannone.

A rendere ancor più nonsense i già di per sé assurdi spunti di partenza contribuivano i visionari, provocatori e sperimentali inserti dell’animazione, realizzati da Terry Gilliam e tra le cose ancora oggi più interessanti del sestetto, che in qualche modo dialogavano verso est con la coeva sperimentazione di autori come Jan Svankmajer. 

Tra le ricorrenti apparizioni di un’armatura medievale che colpisce i personaggi in scena con un pollo e un assurdo passaggio nei cieli di Gerusalemme di una navicella aliena che salva dalla morte Brian di Nazareth nell’omonimo film del 1979, il parossismo del nonsense naturalmente non si limitava ad essere un gioco fine a se stesso. Il disordine, il caos dell’assurdo, le sfide al buon gusto avevano spesso le chiare stigmate dello sberleffo satirico, tutt’altro che lieve ed innocuo e perlopiù sociale – lo sketch della moda di essere topi che parodiava l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti del disagio giovanile – che aveva come bersagli qualunque forma di conformismo e rigidità mentale, a partire da quella perbenista e bacchettona. Del resto, il nonsenso assoluto come visione del mondo non poteva che veicolare un approccio libertario, se non davvero anarchico.

E così, soprattutto nei film, altri bersagli preferiti dal sestetto erano quelle comunità, quei gruppi, che del dogmatismo facevano bandiera; le religioni in Brian di Nazareth e nello sketch musical di The Meaning of Life, tanto quanto i gruppetti di quella che qui avremmo chiamato sinistra extraparlamentare ancora in Brian di Nazareth e I banditi del tempo; fino a mode e status symbol altrettanto vincolanti e surrogati di un senso profondo dell’esistenza come quella del cibo, protagonista della celebre e disgustosa esplosione del ricco crapulone in The Meaning of Life e dello sketch nella terza puntata della prima stagione in cui una forchetta sporca creava uno psicodramma in un ristorante stellato. 

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