“Beati gli smemorati, perché avranno la meglio anche sui propri errori”
Madre, quarto lungometraggio di Bong Joon-ho, gravita attorno alla figura di un’anziana signora combattiva e volitiva, e di tutti i suoi sforzi affinché il figlio – problematico e impacciato – venga scagionato dall’accusa di aver assassinato una ragazzina, come sembrano indicare prove tutt’altro che incontrovertibili.
Il cuore di Madre, è proprio il caso di dirlo, è costituito dalla funzione e dalla figura materne, declinate con dolente e poetica leggiadria da una vibrante e intensissima Kim Hye-ja. Le sue fattezze minute, nonché la fragilità (solo apparente) del suo personaggio, sembrano preannunciare un’impresa proibitiva: la solitaria lotta di una donna in là con gli anni contro tutto e contro tutti.
L’animo di una madre ha ragioni che la logica e l’evidenza non riescono a scalfire, e persino per lo spettatore conta poco o nulla che il rapporto filiale assuma spesso contorni morbosi, scabrosi, claustrofobici o, nella migliore delle ipotesi, disfunzionali. È tutta nel meccanismo del conflitto sistemico, e nella matrice genitoriale ontologicamente protettiva dalla quale questo scaturisce, la ragion d’essere (di) Madre. Un film che a posteriori è semplicissimo collocare nel solco delle più note produzioni di Bong Joon-ho, tanto a livello tematico che strutturale. Accorto tessitore di trame pregnanti e dense, il regista dimostra anche in questo film tutta la propria abilità nell’innervare con diversi “a parte” il tronco principale della narrazione, a cominciare dalle consuete, amarissime riflessioni di stampo sociale e sociologico. Sulla base dell’esperienza di Memories of Murder (2003), ecco che la Corea del Sud appare un Paese sviluppato a metà, infestato da un corpo di polizia infingardo e sempre in cerca di capri espiatori. Un Paese che somiglia a una satrapia culturale degli Stati Uniti e ne consuma avidamente i prodotti televisivi – come, appunto, viene espressamente detto in Madre – per poi smaltirne le scorie (The Host, 2006). Un Paese dove persino il costo della vita è proibitivo per amplissime fette di popolazione serve da cavallo di Troia agli scopi di Bong Joon-ho, che così oggettiva la principale chiave di volta non solo del film, ma forse della sua intera filmografia.
Così configurata, quella della madre e del figlio Do-joon è solo un’altra sfumatura, un’altra declinazione della marginalità, in un contesto che si autoalimenta della guerra tra poveri e dove c’è sempre qualcuno un po’ più ai margini, qualcuno ancor più al di sotto della soglia di rispettabilità, quindi pronto a pagare il fio delle altrui colpe. È la medesima marginalità, con le tensioni sociali centripete che essa sottende, a giustificare anche molte scelte scenografiche: i livelli non sono ancora quelli di Parasite (2019), ma il simbolismo geografico e scenico e la ricercatezza nella composizione del quadro rimangono comunque di importanza capitale.
Regista di confine per molti versi, anche il Bong Joon-ho di Madre lambisce vari generi, eppure in questo caso non mostra la determinazione di risolverne alcuno. La sceneggiatura lascia più di qualche punto in sospeso, e non è aiutata da atmosfere fluide e surreali che non agevolano la scorrevolezza del racconto e la comprensione del pubblico. Il quale rimane spiazzato anche da frequenti – ma tutt’altro che convincenti – sconfinamenti metafilmici e teoretici sull’affidabilità dell’immagine e sull’oggettività della rappresentazione. Elementi, questi, sì artatamente manipolabili al pari della memoria, ma che forse avrebbero beneficiato di una trattazione meno dispersiva e maggiormente calibrata.
Madre [Madeo, Corea del Sud 2009] REGIA Bong Joon-ho.
CAST Kim Hye-ja, Won Bin, Jin Goo. SCENEGGIATURA Park Eun-kyo, Bong Joon-ho.
FOTOGRAFIA Hong Kyung-pyo. MUSICHE Lee Byung-woo.
Drammatico/Thriller, durata 128 minuti.