Quel ragazzo partito da Napoli
Fabietto Schisa (Filippo Scotti) vive un’adolescenza spensierata con il padre Saverio (Toni Servillo) e la madre Maria (Teresa Saponangelo) e le giornate trascorse in famiglia assieme allo zio Alfredo, al fratello Marchino con le sue velleità d’attore, alla signora Gentile, a zia Patrizia (Luisa Ranieri), sogno felliniano, summa di sensualità e allucinazioni che accende le sue prime fantasie. Tutto ciò si srotola e giganteggia di fronte al mare, culla di desideri, paure e attese. La prima, quella di vedere Diego Armando Maradona con la maglia del Napoli.
Leone d’argento alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, candidato italiano agli Oscar 2022, il nono lungometraggio di Paolo Sorrentino, in sala dal 24 novembre 2021 e sulla piattaforma Netflix dal 15 dicembre 2021, è un racconto sulla cognizione del dolore, delle origini, tanto di Sorrentino quanto del suo cinema. Come i suoi genitori anche i genitori dell’alter ego Fabietto sono morti nel sonno per colpa di una stufa, ci sarebbe dovuto essere anche lui ma era allo stadio per vedere la partita del Napoli.
Il film, nella prima parte, è la ricostruzione di una Napoli privilegiata e gaudente, infarcita di cibo e calcio, immersa nei giochi, tra gli scherzi della madre e le arguzie del padre, in cui il protagonista scopre l’amore per il cinema (Federico Fellini, la videocassetta di C’era una volta in America, Antonio Capuano). Nella seconda parte c’è il dolore che spesso si mescola a una risata quasi “blasfema” per quanto cruda. Le luci si spengono e il regista dialoga con l’assenza. La sua arte con i tipici segni del suo cinema (la comparsa del Monaciello, il fischio d’amore tra Saverio e Maria, la celebrazione collettiva del gol di mano di Maradona contro l’Inghilterra a Messico ’86, il gioco con le arance di Maria) entra in contatto con la storia familiare e così il Sorrentino autocompiaciuto, eccessivo, estetizzante, di fronte alla solitudine improvvisa di Fabietto, alla realtà “deludente”, si spoglia e si mostra nudo. Fabietto deve trovare il modo per sopravvivere alla perdita che lo distrugge e iniziare a pensare al futuro, ed è proprio questo a smuovere il protagonista dal nido. Da qui lascia Napoli alla ricerca di un luogo da cui ripartire.
È stata la mano di Dio è commedia e tragedia, vita e morte, attese e cambiamenti. Un film in cui si piange e si ride, dove c’è un Dio, Maradona, che manda segni, fa ballare sui balconi, salva una vita e dà vita all’intera città. Sorrentino consegna al pubblico un’opera che mette insieme tutti quei pezzi disuniti della sua esistenza, un’opera che scalda e commuove, una carezza di cui si ha bisogno.